TOMMASO OTTOMANO – CHI TROPPO VUOLE, SPACCA TUTTO
Ha scritto, diretto e curato nei minimi dettagli videoclip per Lucio Corsi, Baustelle, Chiello e Maneskin, e ha firmato campagne per Prada, Gucci e Moncler senza mai lasciare la musica, da cui è partito. Il segreto per essere riconoscibili? Non delegare nulla e, soprattutto, crederci
di Alessandra Lanza
Nato nell’agosto 1990 e cresciuto a Porto Ercole, il classico paesino toscano che non conta nemmeno un migliaio di abitanti, Tommaso Ottomano vive da anni a Milano, dove lavora come regista, produttore musicale, sound designer e tanto altro. Nome di battesimo mantenuto e cognome d’arte, ha iniziato la sua carriera artistica come musicista. «Avevo una band, con cui ho scritto e prodotto canzoni e suonato in giro. Poi, quando ho deciso di fare sul serio con la mia altra passione di sempre, il cinema, mi sono trasferito per far diventare il video il mio lavoro principale. Ma non mi ritengo né un regista, né un musicista, sarebbe riduttivo. Un artista forse?». Tutti gli dicono che fa troppe cose, lui gli risponde di andare in quel posto, preferendo seguire l’istinto e la necessità di non fermarsi mai.
Da chi hai preso in famiglia la predisposizione per la creatività?
Mio padre è carpentiere, mia madre ha un negozio di vestiti. Lei è sempre stata estremamente creativa con abiti e lavori manuali: avrebbe potuto creare un proprio brand, ma non ha mai avuto questa ambizione. Mio padre invece si è inventato una festa di paese. Credo che entrambi, involontariamente, mi abbiano trasmesso qualcosa.
Come ti sei formato per quello che fai oggi?
Ho sempre avuto la passione per il cinema. Quella per la musica è arrivata per caso, grazie al padre di un amico: aveva una chitarra al muro, gli ho chiesto di suonarla e mi è cambiata la vita. Dopo un anno di scuola per geometri ho mollato e sono passato a un liceo professionale-turistico: tutto il tempo lo dedicavo alla musica. Avevo l’ambizione di farla sentire a chiunque, di arrivare a tutti, di spaccare. E lo stesso quando ho iniziato con il video: volevo spaccare tutto.
Come sei arrivato al videoclip?
Ho iniziato con Lucio Corsi e altri artisti più piccoli in Toscana. Io e lui siamo nati nello stesso paese: l’ho seguito fin dall’inizio nella direzione artistica e ho prodotto e scritto con lui le canzoni del suo ultimo album. Arrivato a Milano non conoscevo nessuno, ma me la sono cavata: se hai la cazzimma fai tutto. Quando è uscito L’amore e la violenza dei Baustelle mi è venuta un’idea per l’intro dell’album, Love: ho girato a casa il video in cui la mia ragazza lecca il vetro della doccia. Ho trovato il modo, tramite contatti comuni, di farlo vedere a Francesco Bianconi, che si è gasato e mi ha chiesto di girare il successivo. La prima produzione vera che ho realizzato è stata quindi quella del videoclip de Il vangelo di Giovanni.
C’è stato un momento di svolta nella tua carriera?
Sono sempre stato un lupo solitario, fuori dai giri e dagli “ambienti”. Forse ha contribuito a creare interesse e curiosità nei miei confronti, per cui è come se fossi uscito dal niente ma, nello stesso tempo, fossi riuscito a mantenere una stabilità. Quando ho iniziato accettavo qualsiasi lavoro, prendevo la cacca e cercavo di trasformarla in cioccolato. I clienti molto piccoli mi lasciavano quasi totale libertà e, una volta soddisfatti, continuavano a chiamarmi e a raccomandarmi.
Il fatto di aver lavorato con i Maneskin, tra i più celebri artisti italiani su scala internazionale, ti ha dato una spinta?
Non mi interessano le visualizzazioni: non giudico la bellezza di un lavoro sulla base dei numeri. Certo, fare qualcosa per un “marchio” come il loro può far fare un salto al tuo portfolio, ma non mi sono mai sentito da meno e non è stata una “mossa”. Mi hanno sempre scritto tanti artisti ed etichette, dal pop alla trap, ancora quando facevo i video per Lucio che avevano poche views ma erano fighi, nonostante ci fosse pochissimo budget. Non è cambiato molto.
Chi è per te il bravo regista?
Un regista di moda è molto distante da uno di cinema o di pubblicità. Ho sempre pensato che la caratterisica principale debba essere la riconoscibilità: pensa a Tarantino. Quello è il mio obiettivo, e lo si raggiunge solo studiando un proprio linguaggio e diventando in grado di gestire tutte le altre figure – Dop, costu- mista, scenografo, ecc. – affiché esaudiscano tutto quello che c’è nella tua testa. Non bisogna servirsi degli altri per avere idee, al massimo della loro esperienza. Lavoro da anni con le stesse persone, per esempio il Dop Marco de Pasquale, con cui ho costruito un mio linguaggio. Ho un metodo da “one man band”, per cui mi occupo di tutto: scrivo, giro, monto, seguo il suono, la color correction, la postproduzione, le foto.
Il videoclip è destinato a tramontare?
Non morirà mai, rappresentare con immagini una canzone servirà sempre, cambierà semplicemente il formato. Ora mi sto infottando con l’AI, è una risorsa enorme: tutte le idee che sto appuntando in questo periodo sono in funzione di quello che succederà, tanto che per proporre i trattamenti dei miei progetti ormai uso quella al posto delle reference. Per molti è una merda, ma perché bisogna essere dei boomer e rimanere indietro? Io voglio essere avanti. Non prenderà il posto dell’umano, lo amplificherà.
In che direzione sta andando la tua musica?
Dopo il lavoro con Lucio, ho scritto molto anche per l’ultimo album di Chiello e ora ho firmato con Sugar Music come autore. Ci tengo molto, anche perché ren- de più seria un’inclinazione che negli ultimi tempi era più volatile. Sto scrivendo molte canzoni con altri artisti, una serie tv, appuntando tantissime idee per lavori di video arte. Mi trovo in un flusso di estrema creatività, e mi interessa molto di più di impaginare documenti su Keynote per vincere una gara per qualche pro- getto commerciale.
E i due cortometraggi horror, Paura, che hai realizzato? Continuerai anche in quella direzione con altri lavori?
Sono una parentesi interessante perché anche quelli derivano dal mio rapporto con Sugar: ho ricevuto da loro in “dono” la possibilità di utilizzare tracce di compositori giganteschi come Ennio Morricone, Stelvio Ciprani, Bruno Nicolai, parte di un catalogo che volevano promuovere. Ho scritto due corti molto semplici, come fossero scene strappate da un film, esercizi di stile ispirati agli anni Settanta e opere come quelle di Dario Argento. Mi è piaciuto fare questi lavori, ma non mi interessa fare un film.
Intervista pubblicata su WU 121 (settembre 2023)
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