MATTHEW TODD – NIENTE TABÙ
Matthew Todd, scrittore ed ex editor della rivista gay più venduta nel Regno Unito, Attitude, ha dedicato un libro al senso di inadeguatezza che (ancora) moltissimi membri nella comunità LGBT provano quando si tratta di vivere alla luce del sole le proprie preferenze. Obiettivo: fare luce sulle ipocrisie
di Marzia Nicolini
Ci viene facile dire che oggi siamo tutti gay friendly e aperti di mente. Di fatto non si può dire che sia tutto rose e ori, se non con una buona dose di ipocrisia. A ricordarcelo, a distanza di 40 anni dall’uccisione a San Francisco dell’attivista gay Harvey Milk, è Matthew Todd. Già editor della rivista gay più venduta nel Regno Unito, “Attitude”, Matthew Todd ha dedicato il suo libro Straight Jacket (Penguin, 2016) all’argomento, raccontando senza retorica e con un approccio pragmatico e sincero i lati meno noti della questione “essere gay oggi” e delle difficoltà e dei pregiudizi che ancora uomini e donne della comunità LGBT incontrano e affrontano quando è ora di fare coming out per dire al mondo chi si è veramente. Anche nei Paesi all’apparenza più progressisti come il Regno Unito.
Come è nata l’idea di questo libro?
Dalla mia esperienza personale. Pensavo di essere una persona risolta riguardo alla mia sessualità: lavoravo per una rivista gay prestigiosa, ho collaborato con un’organizzazione per i diritti degli omosessuali, ho scritto una commedia gay di successo. Eppure soffrivo di ansia, mi ubriacavo, dormivo con troppe persone, la mia autostima era inesistente e avevo pensieri suicidi ricorrenti. Ho pensato fosse solo un capriccio della mia personalità, ma con gli anni ho scoperto che tantissime persone gay tra quelle che conoscevo soffrivano di disturbi simili ai miei, se non più gravi.
Come ne sei uscito?
Mi ha aiutato il mio migliore amico, con lui ho realizzato che avevo bisogno di una mano. Sono finito così da un bravo terapeuta che mi ha fatto capire che non era la mia sessualità a essere il problema, quanto il fatto di essere cresciuto in una società che invalida le persone LGBT. Lo aveva sperimentato anche lui. Era la prima volta che una persona gay mi concedeva di analizzare davvero quel problema.
Credi che anche altri omosessuali non abbiano mai avuto modo di affrontare la propria situazione da questa prospettiva?
Per decenni la cultura gay ha sventolato la bandiera arcobaleno per difendersi dall’ostilità, ma non ci si è mai fermati a guardarsi dentro, a capire che effetto ha avuto tutta questa omofobia sulla nostra psiche. Quando ho dedicato all’argomento un pezzo su “Attitude” siamo stati inondati di email come mai prima. Ho capito che era il momento di approfondire, così ho iniziato il mio libro.
Nel quale leggiamo che un numero elevato di persone LGBT soffre di malattie mentali. Cosa hai scoperto a riguardo?
È chiaro che questi problemi non sono una nostra esclusiva. Eppure gli studi dimostrano che sì, le persone di questa comunità soffrono in modo sproporzionato di bassa autostima, disturbi alimentari, comportamento suicida, autolesionismo, ansia e dipendenze. Non tutti, è ovvio, ma troppi.
Le cause di tanta sofferenza?
È perché siamo cresciuti bombardati da messaggi negativi su chi siamo: ci viene detto che quel che facciamo e sentiamo è sbagliato, empio, disgustoso, che non potremo mai essere felici e così via. Spesso assorbiamo queste parole e finisce che viviamo vergognandoci. Autori come John Bradshaw e Pie Mellody concordano sul fatto che non vi sia alcun gruppo umano che prova maggior senso di vergogna dei gay.
Come si fa a vivere in questo modo?
Tante persone reprimono le proprie emozioni e cercano di nascondere anche a se stesse la propria identità, come se fosse una soluzione per cancellare il “problema”. Esiste un fenomeno psicologico chiamato shifting in cui si opera una sorta di suddivisione della personalità, di modo che si possa presentare al mondo il proprio lato “accettabile”, tenendo nascosto quello che invece provoca dolore. Il fatto è che se sei gay, sei gay, punto. Questo meccanismo psicologico può essere deleterio. E infatti i tassi di suicidio tra gli adolescenti LGBT sono allarmanti, ma nessuno ne parla mai.
Quali azioni concrete possono cambiare queste condizioni?
L’istruzione a scuola è prioritaria. E tutte le religioni dovrebbero rivedere il modo in cui si trattano le persone LGBT. Credo che in una società civilizzata dovremmo poter ricevere consulenza e ascolto: sono necessari più servizi psicologici per affrontare real- mente il problema. E i genitori dovrebbero capire che essere gay non è una scelta. Quando ero bambino avrei tanto voluto essere etero come gli altri miei compagni. I bambini LGBT non possono essere lasciati in mano ai bulli o diventeranno bulli a loro volta. E poi è importante parlare apertamente di sesso e smetterla di considerarlo qualcosa di poco sano e riprovevole.
Quello del coming out è ancora un momento difficile?
Sta diventando meno traumatico, ma certo non per tutti. È un falso mito che i ragazzi di oggi sono sereni e aperti sulla propria identità. Ricordo una ragazza qualche tempo fa che tremava senza freno al pensiero di dire al mondo chi era veramente.
C’è un messaggio che speri arrivi a chi leggerà il libro?
Mi piacerebbe che la comunità LGBT riconoscesse che abbiamo bisogno di guardarci dentro e prenderci cura di come stiamo. Ok, droghe, sesso, alcol possono essere tutti fantastici, ma se si esagera possono ridurti a pezzi. E mi piacerebbe che le persone eterosessuali capissero che i bambini gay sono figli di persone etero. Questo non è un problema “noi” contro “loro”: quando i gay soffrono, soffrono le famiglie. Soffrono i genitori, i fratelli, le sorelle, tutti.
Ci sono Paesi a cui guardare per politiche di apertura e inclusione della comunità LGBT?
Parlerei più di grandi città piuttosto che di singoli Paesi. Spesso vengono citati San Francisco, Los Angeles e Londra. Nella mia esperienza nel Regno Unito c’è apertura mentale e infatti in tantissimi si trasferiscono qua per vivere finalmente da persone libere. Ma non siamo perfetti: i gay ricoverati per overdose da sostanze come crystal meth o GHB sono spaventosamente comuni anche qui. C’è ancora tanto lavoro da fare.
L’Intervista a Matthew Todd è stata pubblicata su WU 87 (aprile 2018). Segui Marzia su Facebook.
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