ELENA XAUSA – TRA FANTASIA E QUOTIDIANO
Elena Xausa illustra per il “The New Yorker” e il “The Times”, adora la natura e, in questo periodo, il blu petrolio. La sua è una matita pop ed essenziale, portatrice di un gusto estetico raffinato che regala sapore ai disegni e alla vita
di Chiara Temperato
Elena Xausa arriva da Marostica, la città degli scacchi in provincia di Vicenza. Ha 34 anni, uno stile grafico asciutto e accattivante e un gran talento. Tra mille progetti che la portano in giro per il mondo ha trovato il tempo per raccontarsi a noi con delicatezza e spontaneità. Il suo sguardo è determinato e le sue parole suonano come quelle di un’artista matura. Sono anche quelle di un animo semplice ed entusiasta, che trasmette la passione e la dedizione con cui si prende cura della sua arte. L’empatia con cui parla delle sue opere ci rende partecipi di quel meraviglioso mondo illustrato che è la sua vita.
Chi è Elena Xausa? Quali sono stati i tuoi primi passi nell’illustrazione?
Da piccola volevo lavorare con gli animali (sorride, NdR), ho sempre disegnato tanto ma non avevo mai pensato all’illustrazione come progetto di vita. Mia madre mi ha sempre incoraggiata, ma è stato solo all’università che ho capito quale sarebbe stata la mia strada. Grazie al professor Giorgio Camuffo, timoniere di un tipo di illustrazione pop americana, a quei tempi ancora vergine in Italia, ho aperto gli occhi e fatto amicizia con questo meraviglioso mondo creativo. Lui mi ha mostrato che vivere di illustrazione si poteva.
Non hai iniziato dall’illustrazione pura ma dalla grafica, giusto?
Sì, ho iniziato come grafica per essere autonoma economicamente. Avevo 23 anni all’epoca. Grafica e illustrazione sono due espressioni della stessa estetica, anche se spesso li consideriamo universi separati. La nostra è un’epoca fatta di tag, siamo ossessionati dalla smania di etichettare tutto, ma dovremmo avere un approccio più trasversale. Talvolta manca la figura dell’artista a 360 gradi che ha bisogno di esprimere un senso estetico attraverso varie forme. Il lavoro dell’illustratore non è disegnare, ma spiegare. Interpretare le esigenze del committente, preservando il proprio stile, elaborare l’idea visiva più adatta ed efficace. Questa è la vera sfida. E le sfide mi divertono.
Ci racconti il tuo processo creativo dalla A alla Z?
Quando devo pensare a un’idea ho bisogno di isolarmi e stare lontana da qualunque device, al riparo da eventuali suggestioni visive. Penso per concetti chiave e una volta visualizzata l’idea nella mia testa, torno in studio, metto un po’ di musica e inizio a disegnare dei bozzetti. A volte creo delle piccole storie. Approvata la draft, inizia la fase di esecuzione (la parte più lunga) che affronto perdendomi nell’ascolto di podcast in inglese su differenti temi. Sono il sale della mia vita perché stimolano il mio lavoro e alimentano il mio cervello. Uso Cintiq per l’esecuzione: è molto utile per i disegni più elaborati, dove è necessario zoomare tutti i dettagli.
Parlaci del tuo stile e da chi e cosa ti lasci ispirare.
Il mio è un disegno essenziale. È così scarnificato che obbliga a porre l’attenzione sul tipo di messaggio che vuole comunicare. Lavoro per sintesi e concetti in modo che il messaggio sia chiaro ed efficace. Ho un background visivo molto forte, nei miei disegni inserisco le cose che vedo in giro, che fanno parte del mio vissuto e quotidiano, tutti i miei riferimenti culturali. Faccio continuamente ricerca e tra i miei maggiori ispiratori ci sono Geoff McFetridge per l’approccio sintetico, Steinberg e John Alcorn per il meraviglioso uso che fanno dei colori.
Alcuni dei tuoi disegni sono un pot pourri di oggetti e figure umane.
Sì, spesso sono molto elaborati e compositi. Possono contenere delle micro narrazioni, ma il più delle volte vanno interpretati per concetti chiave. Mi riconosco di più in quelli semplici, fatti di pochi elementi, perché più focalizzati e più stimolanti da pensare. I miei disegni più caotici sono un po’ come uno “svuotatesta” per me. Uso sia i colori sia il bianco e nero, adoro i colori pastello ma da un po’ cerco di essere più flessibile, allargando lo spettro anche a quelli più saturi. Nei miei disegni ci sono sempre due tinte contrastanti e molto forti. Per completare la composizione lavoro poi di scala cromatica. Ora ho una passione per il blu petrolio, ma potrei cambiare idea anche domani.
Veniamo ai tuoi progetti: in quali troviamo Elena Xausa più ispirata?
In questi ultimi due anni ho lavorato molto per il “The New York Times”. Di recente ho pubblicato dei lavori per la rivista “Icon”, con cui collaboro da anni. Questo è quello che amo fare, i lavori editoriali sono più stimolanti e mi consentono di esprimermi totalmente. Quelli commerciali, seppur divertenti, hanno invece più vincoli. Collaboro anche con il “The New Yorker” e di recente ho realizzato le cover di tutte le release di una band di Berlino. Chi sceglie Elena Xausa, sa già in che direzione si andrà.
Cosa fai quando non sei impegnata alla scrivania per disegnare?
Devo ammettere che amo troppo lavorare (ride di gusto NdR). Il mio è un lavoro solitario. Sono così assorbita dalle illustrazioni che faccio fatica a ritagliarmi del tempo libero. Quando non disegno mi piace comunque lavorare con le mani, creare delle cose. Leggo tanti fumetti e adoro le passeggiate in natura. Organizzo il mio tempo in funzione del luogo in cui mi trovo. Ho vissuto a lungo a Berlino, ci torno spesso e quest’estate mi sono fermata per un po’ di giorni a New York. In ognuno di questi contesti riesco a sviluppare attitudini diverse. A Berlino è tutto più concentrato, ho i miei punti di riferimento culturali tramite il mio giro di amici, a New York invece è tutto su larga scala, gli spostamenti sono infiniti e il tempo sembra non bastare. In ogni luogo cerco di nutrirmi sempre di nuovi stimoli, utili alla mia professione e alla mia vita in generale. Oggi, se mi chiedessero dove vorrei mettere le radici, non saprei assolutamente rispondere. Adoro l’arte contemporanea e non, sono molto curiosa e nozionistica. Per questo amo scovare e raccontare storie, o almeno ci provo.
Cosa dobbiamo assolutamente sapere di te?
Mi ritengo autoironica, è la mia personale difesa nei confronti della vita e i miei disegni ne sono la prova. Sono intrisi di ottimismo perché io sono raramente di cattivo umore. Odio quando mi dicono cosa fare nel mio lavoro, non sopporto la gente che si prende troppo sul serio e sono allergica alla coolness perché spesso la trovo poco spontanea. Io cerco di vivere in maniera autentica. Nel corso degli anni sono diventata molto più sicura di me stessa, anche grazie al mio lavoro. Ho raggiunto tanti piccoli traguardi. Ogni volta che scegli di esporti e di metterti in gioco acquisisci una nuova consapevolezza. E oggi ho la fortuna di rispecchiarmi totalmente in quello che faccio. Questo mi basta a essere serena e a continuare la mia ricerca.
Intervista pubblicata s WU 91 (ottobre 2018). Segui Chiara su Facebook ed Elena su Instagram
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