MOMUSSO – L’IMPORTANZA DEGLI SPAZI BIANCHI
Sognatrice e spontanea, ama la pizza surgelata, i testi di Brunori Sas e disegna i suoi ricordi senza fare a meno di parole e musica. Momusso adora vivere nel suo mondo illustrato, tra colori e ampi spazi bianchi che le danno sicurezza
di Chiara Temperato
Incontro Martina Lorusso aka Momusso in un grazioso locale del quartiere Isola a Milano, a pochi passi da casa sua. La musica fa da sottofondo alla nostra chiacchierata, che in poco tempo si riempie di risate e pensieri intimi. L’Umbria è stata il teatro della sua infanzia, Verona la sua città d’adozione, dove ha iniziato a sperimentare la sua indole visual a lungo inesplorata. E poi? Milano si accorge di lei, di Momusso, le sue illustrazioni catturano le menti e colpiscono dritto al cuore. Da allora qualcosa è cambiato, ma Martina va avanti per la sua strada e prova sempre a conservare intatta la sua spontaneità.
Chi è Momusso e cosa rivelano i tratti delle tue illustrazioni pop?
Sono una ragazza passionale, che vive intensamente il presente, molto empatica ma anche malinconica. Non riesco a dire addio e i miei disegni sono un immenso vocabolario di ricordi e il risultato delle mie esperienze. Il mio primo amore è stato la fotografia, poi è arrivata l’illustrazione che lascia più spazio al gioco, all’immaginazione e mi fa esprimere nella mia parte più naive e infantile. È stata una cura, quasi un rifugio. Ho iniziato in un periodo buio, passavo notti insonni a disegnare cercando di ritrovare me stessa, ma in quei momenti ho capito che era quello che volevo per me.
La tua vita alimenta la tua arte e viceversa, uno scambio intenso. Raccontacelo.
Da ragazzina ero confusa, non conoscevo le mie passioni, mi stavo scoprendo ma non sapevo fare molto. Poi ho capito di amare le logiche psicologiche delle pubblicità televisiva. Ho lasciato il liceo scientifico per dare spazio alla grafica ed è stato un amore a prima vista. All’inizio disegnavo piccole forme, in cui cercavo di incasellare i miei pensieri vorticosi. Spesso erano omini neri, piccoli, ma incombevano feroci su figure femminili sciupate. Quelli sono stati anni difficili per me, segnati da un’immensa solitudine. Poi ho iniziato a volermi bene, a non accusarmi più e questo mi ha aiutato anche nel rapporto con gli altri. Man mano il mio modo di illustrare si è modificato, la mia vita ha ritrovato il colore e così anche i miei disegni. Non illustro mai cose che non conosco, non potrei mai farlo bene. Disegno il mio passato per cristallizzare i ricordi e affrontare le emozioni. Disegno ciò di cui avverto la mancanza.
Tra i tuoi lavori, qual è quello a cui sei più legata?
Il vocabolario sentimentale è il mio progetto più intimo, realizzato a PoliEdro (il punto di riferimento del Politecnico per le tematiche LGBTI) per esplorare i nostri diversi approcci alla sessualità. Un viaggio illustrato partito da parole di pura fantasia. Un progetto personale e collettivo al contempo, perché la sua vocazione “social” consente a chiunque, attraverso Instagram, di suggerirmi delle emozioni che poi proietto nelle mie illustrazioni.
Cos’è per te il disegno?
Il mio obiettivo primario. È la mia urgenza di comunicare al mondo chi sono, quali sono le mie emozioni, senza necessità di nasconderle o cambiarle. Uso solo il formato quadrato, lo trovo particolarmente intimo perché mi obbliga a focalizzarmi entro i suoi limiti innaturali. In quel formato riesco a vedere tutto, inserisco piccoli disegni e li lascio circondati da tanto spazio vuoto. Quello spazio riesce a darmi sicurezza, perché mi fa esprimere senza filtri, mi dà l’opportunità di raccontarmi, non posso averne paura. È un po’ come lo spazio che regola il rapporto tra le persone, è un ponte verso la costruzione di qualcosa.
Oltre allo spazio bianco, che cosa ti dà sicurezza?
La famiglia, che mi ha sempre dato la possibilità di sbagliare e di ricominciare. Per il resto, al momento preferisco essere libera da relazioni sentimentali, voglio darmi del tempo e focalizzarmi su quello che mi fa stare bene, in modo da essere poi in grado di gestire con più sicurezza tutte le situazioni. Ogni cosa a suo tempo.
Com’è la tua vita quando non è illustrata?
Quando disegno lo faccio ininterrottamente e non ho il tempo di vivere al “di fuori”. Spesso però mi dò delle pause, necessarie ad assorbire tutto quello di cui ho bisogno per nutrire i miei disegni. Le pause sono importanti per calarmi nella vita reale: in quei momenti mi stacco da tutto e mi costringo a non disegnare, altrimenti so che finirei per distrarmi. Le considero un momento fertile, attimi nei quali capiamo che siamo alla ricerca di un qualcosa di diverso. Del resto la nostra vita è un continuo processo di crescita.
Come vedi Momusso tra 10 anni?
Potrei essere dovunque perché mi trasferirei anche domani, per la mia passione/ lavoro. Saranno stati i sette traslochi, ma il cambiamento mi fa sentire viva e adoro tutte le emozioni che si porta dietro. Sicuramente mi vedo in una casa luminosa, con dei gatti e delle piante grasse. Una casa piena di fotografie. Al momento mi immagino da sola.
E nel breve periodo, dove ti vedremo?
Collaborerò con Martini, per cui ho fatto il Vocabolario sull’aperitivo. 23 cartoline con nome e illustrazione che omaggeranno l’evento del 21 Giugno al Parco Sempione. Ho inventato le parole e le illustrazioni. Curerò poi la parte visual di un festival musicale in Puglia nel 2019. C’è tanto altro, ma non posso ancora rivelare nulla.
Cosa vorresti che gli altri sapessero di te?
Che voglio essere libera di soffrire e di sorridere con i miei tempi, senza dover dimostrare nulla. Vivere il dolore per quello che è, ma sapere che c’è sempre una via d’uscita. Forse vorrei che le mie passioni arrivassero al cuore di tutti e che gli altri mi vedessero sempre nello stesso modo. Vivo raccontando storie, senza pormi macro obiettivi, perché amo essere sorpresa continuamente. Senza il rapporto con gli altri non riuscirei a nutrire me stessa e le mie illustrazioni.
Intervista pubblicata su WU 89 (giugno 2018). Segui Momusso su Instagram.
La foto in apertura di Martina Lorusso aka Momusso è di Jacopo Ardolino
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