FRANCESCO LETTIERI – C’È VITA DOPO IL VIDEOCLIP
Abbiamo imparato ad associare il nome di Francesco Lettieri a quello di diversi artisti, più o meno indipendenti, che nel giro degli ultimi anni hanno conquistato la scena musicale italiana. Nel suo futuro, dopo tanti videoclip, c’è un film. E tra 10 anni, magari, una serie tv
di Alessandra Lanza
Ci sono canzoni rimaste inevitabilmente legate ai video di Francesco Lettieri e ai personaggi da lui raccontati. È difficile canticchiare Cosa mi manchi a fare senza pensare al bambino che mastica il playback tra gli angoli del Pigneto, o non associare Paracetamolo al suo bizzarro protagonista, teneramente innamorato della ragazza che ogni mattina gli serve il caffè. La Napoli di Liberato ha dei colori precisi ed è popolata da una serie di volti ormai familiari, prestati al cantautore misterioso grazie alla sua camera. Dopo i video amatoriali da ragazzino e i primi cortometraggi (rimossi da internet), nel 2010 il regista napoletano è passato al videoclip. Adesso si ritrova tra i nomi più noti in Italia nel settore. Per l’edizione 2018 del Milano Film Festival Francesco Lettieri è tra i protagonisti voluti da Gabriele Salvatores per portare il cinema anche ai più giovani. Due eventi lo vedranno coinvolto, My Screen (30 settembre alle 17, un’occasione per vedere con lui un film molto importante per il suo percorso) e Videoespanso (3 ottobre ore 22, retrospettiva dedicata ai videoclip di Francesco Lettieri). E quale modo migliore, se non passare per la musica e il videoclip?
Hai avuto qualche folgorazione giovanile?
Parlare di vocazione sarebbe troppo, non ho capito subito di voler fare il regista. L’estate scorsa, un viaggio negli Stati Uniti mi ha ricordato quello che feci con i miei quando ero adolescente. C’è una diapositiva che mi ritrae nella Monument Valley con la Mini DV che mi aveva regalato mio zio per Natale: tra i miei amici c’era chi interpretava il cowboy, chi l’indiano o il cavallo. Io ero il regista.
Per il cantautore Giovanni Truppi hai realizzato i primi videoclip. Credi avresti preso questa strada senza di lui?
L’amico da cui mi sono trasferito quando ho deciso di studiare a Roma viveva con lui e il fratello Giuseppe, con cui lavoro ancora oggi. È stato un incontro casuale, ma fondamentale: mi ha dato la possibilità di canalizzare l’interesse per la regia. All’inizio mi sono fatto conoscere come videomaker di Truppi, poi come quello di Calcutta, poi di Liberato. Questi tre musicisti sono quelli che mi hanno portato ad avere una sorta di riconoscibilità.
Non pensi di aver dato loro a tua volta una sorta di riconoscibilità?
Spero di sì, e spero, sia con Calcutta, sia con Liberato, di aver contribuito al loro successo. Penso che effettivamente l’estetica dei video, soprattutto i primi – Cosa mi manchi a fare, Nove maggio e Tu t’è scurdat’’e me – sia stata la cifra del progetto, che poi si è evoluta e ha preso anche altre strade. La mia bravura è stata dare a questi artisti, senza snaturare la loro identità, un immaginario visivo, un volto, o più che altro un’inquadratura. Quello che sono riuscito a fare con entrambi ha fatto sì che abbiamo poi continuato a collaborare, oltre al rapporto umano che si è creato.
Dici spesso che il videoclip è stato il tuo esercizio per arrivare al cinema. Mai il contrario?
Per me il punto di riferimento e la meta sono il cinema. Da un punto di vista di reference estetiche e impostazione generale del lavoro – non sono mai operatore e quando possibile mi circondo di una troupe importante rispetto alla media dei video indipendenti – cerco di mantenere un approccio cinematografico. L’idea di realizzare video narrativi non è una scelta così libera, quanto indirizzata a voler imparare a raccontare storie, per arrivare a fare un film.
In un’intervista a Repubblica hai dichiarato: «Nel segmento video ho raggiunto un livello oltre il quale non potrei andare. Mi basta». È così?
Da noi la carriera del “videoclipparo” è una specie di vicolo cieco, tant’è che molti registi hanno l’obiettivo di lavorare nella pubblicità. Con vicolo cieco intendo che se negli altri Paesi ai grandi numeri corrisponde qualità, in Italia più si alzano i numeri, più la qualità tende ad abbassarsi, come nei video di Fedez o di Rovazzi.
Grandi budget a disposizione, e penso all’ultimo video di Rovazzi, fanno la differenza?
Dipende da chi li gestisce. Per quello che faccio io, avere 300 euro o 100mila a disposizione la fa. Centomila euro nelle mani di un bambino potrebbero dar vita a un video migliore, più assurdo e sincero di quello di Rovazzi. Non è mia intenzione distruggerlo – non lo considero nemmeno un prodotto musicale – ma non è quello che fa bene all’Italia. Siamo in un Paese culturalmente devastato ed è fondamentale che qualcuno provi a mettere contenuti e a migliorarlo, invece che affossarlo: credo sia una questione etica per chi produce musica, cinema e tv. Canzoni demenziali e brutta musica non possono che peggiorare la situazione e lucrare su perversione e ignoranza è deprecabile.
Il Milano Film Festival vuole intercettare di più i giovani. Secondo te esiste una formula per avvicinarli al cinema? Può passare per la musica?
Conosco poco i festival, li ho frequentati all’inizio con i primi corti e ce ne sono pochi dedicati al videoclip. Non mi hanno mai interessato quelli classici: spesso si vedono lm che non arrivano al cinema perché la gente non li vuole vedere. È giusto dare la possibilità di vedere quelli che non si troverebbero altrove, ma credo ci vorrebbe un rinnovamento per avvicinarsi al Paese reale. Legare il cinema alla musica potrebbe essere una buona idea: è un settore in crescita e se quella indie è diventata più rilevante di quella mainstream, perché non potrebbe succedere anche nel cinema, visto che quello mainstream è messo peggio della musica?
Sembra non si possa più prescindere dalla serialità. Tu l’hai usata nei primi videoclip e di recente nei tre “episodi” di Liberato.
Per quanto riguarda i video di Liberato, è stata più una scelta di necessità, come spesso mi accade e come da insegnamento del mio prof. di teatro Franco Ruffini al DAMS: «Fate di necessità virtù». In Into street e Je te voglio bene assaje dovevamo parlare di un ritorno di fiamma tra due persone che si sono lasciate e che si rivedono. Usare personaggi visti per la prima volta avrebbe avuto un minor impatto. La serialità oggi sta facendo uscire le cose di più alto livello, penso a Bojack Horseman e alla sua comicità intelligente così rara. Tra dieci anni mi piacerebbe avere una serie tutta mia e credo sarebbe più interessante lavorare su quella che su un film.
Tra i primi cortometraggi di Francesco Lettieri c’è Sgrall, girato 15 anni fa. Dopo aver girato Tu t’e scurdat’ ‘e me’ ti sei accorto di aver rimesso in scena la stessa storia, che appartiene alla tua adolescenza. Quanto conta l’autobiografia nel tuo lavoro?
Uso spesso il mio passato: penso sia efficace se non lo si fa in maniera troppo adolescenziale. È complesso fare un video non banale quando si parla di amore, l’argomento più trattato nella musica: per questo ci metto cose che ho vissuto veramente, e che credo siano uniche, come in Oroscopo. Quando eravamo bloccati in cerca dell’idea giusta per Orgasmo, parlando con Edoardo, ho deciso di raccontare la mia ultima storia finita male perché uscisse qualcosa di intenso, sincero e di cuore. A dirmi che è stato così sono stati i messaggi privati di quegli amici che di solito non mi scrivono mai.
Parlerai d’amore anche in un futuro film?
C’è già qualcosa di concreto in ballo di cui non posso dire molto, non è solo un mio desiderio. Non parlerà per niente d’amore, nel modo in cui ho fatto finora. Non di un amore canonico. E i miei videoclip parlano spesso di amore perché sono le canzoni a parlarne.
Ci sarà una serata dedicata ai tuoi lavori al Milano Film Festival. A quali sei più legato? C’è qualcosa che rinneghi?
Cosa mi manchi a fare ha segnato un cambiamento, sia per me, sia per la musica indipendente e per la canzone, nonostante ci fossero a disposizione solo 300 euro e fossimo in tre a girare – io, Gianluca Palma e Francesco Coppola, il nucleo dei Cazzima Brothers, nome di battaglia della mia squadra. Anche Nove maggio ha segnato una svolta nella mia vita, riavvicinandomi a Napoli, città dove sono tornato a vivere. Ai primi corti, anche i più brutti, voglio comunque bene. Ci sono video che ricordo con meno fierezza, realizzati all’inizio, che considero una parentesi: alcuni mi imbarazzano, li ho rimossi da internet, ma mi hanno fatto capire che dovevo migliorare. Un po’ come si dice tra calciatori: sono le sconfitte a renderti migliore.
Intervista pubblicata su WU 90 (settembre 2018). Segui Alessandra Lanza su Instagram e Linkedin
La foto in apertura di Francesco Lettieri è di Glauco Canalis
Francesco Lettieri al Milano Film Festival 2018:
My Screen, Spazio Oberdan, domenica 30 settembre ore 17;
Videoespanso, Teatro Studio Melato, mercoledì 3 ottobre ore 22
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