BRUTTI, MA BUONI
Ogni anno un terzo della frutta e della verdura europea prodotto viene scartato per il suo aspetto, ritenuto non adatto ai banchi della grande distribuzione. Cinquanta milioni di tonnellate di cibo perfettamente commestibile finisce così al macero. Sono diverse però le iniziative che vogliono invertire questa tendenza
di Elisa Zanetti
«Una mela brutta al giorno aiuta il pianeta a non andare a fondo», si potrebbe riformulare così il diffuso proverbio che invita a consumare tutti i giorni frutta per fare stare bene sia noi sia il mondo in cui viviamo. Sì, perché se è vero che ormai sappiamo tutti quanto sia importante seguire la cosiddetta regola dei cinque colori e assumere almeno cinque porzioni di frutta e verdura di diverso tipo al giorno, altrettanto importante è non sprecare i prodotti della terra. Secondo uno studio dell’Università di Edimburgo, un terzo dell’ortofrutta coltivata in Europa viene considerata troppo brutta per essere venduta, che tradotto in numeri significa un totale di cinquanta milioni di tonnellate di cibo perfettamente commestibile destinato al macero.
Uno spreco alimentare del genere ha ripercussioni enormi e tocca diversi aspetti. Gli agricoltori sono costretti a produrre più di quanto necessario, perché sanno che parte del loro prodotto verrà scartato perché ritenuto inadatto alla vendita. Una coltivazione sovrabbondante comporta un aumento dell’inquinamento, con un maggiore utilizzo di pesticidi e una maggiore immissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Senza contare il drammatico dato diffuso dal World Food Programme che rivela che, seppur a fronte di una produzione di cibo sufficiente per sfamare l’intera popolazione, una persona su nove nel mondo soffre la fame e una su tre soffre di qualche forma di malnutrizione.
Attualmente sono tre le diverse categorie europee che identificano i prodotti della terra adatti al consumo: extra, prima e seconda. In extra troviamo i prodotti senza difetti e dalla forma regolare, nella prima categoria quelli con imperfezioni lievi, mentre nella seconda sono racchiusi tutti quei prodotti ritenuti di qualità inferiore perché leggermente ammaccati o caratterizzati da una forma irregolare. Soltanto extra e prima categoria raggiungono i banchi della grande distribuzione, mentre tutti gli altri trovano posto soltanto dai fruttivendoli di strada, nei mercati generali e dagli agricoltori che fanno vendita diretta. Qualcosa però sta cambiando.
Nel 2013 la catena di distribuzione francese Intermarché ha lanciato la campagna Les fruits et les legumes moches (I frutti e le verdure brutti) mettendo in vendita prodotti normalmente scartati che sarebbero invece andati a incrementare le cifre dello spreco alimentare. I risultati dell’iniziativa furono ottimi, segnando una crescita dell’affluenza ai punti vendita del 24%. «È come una bella, ma più economica», «Fa un ottimo succo» o ancora «Perfetta per una zuppa» erano alcuni degli slogan che accompagnavano bitorzoluti frutti e ortaggi messi in posa e acclamati a chiare lettere come “la mela brutta”, “l’arancia brutta”, “la carota brutta” e così via. Intermarché realizzò anche una linea di zuppe e succhi dal packaging identificativo e trasformò gli ortaggi in insoliti e imperfetti modelli di un calendario destinato a sensibilizzare il pubblico sul tema dello spreco alimentare.
Un’iniziativa simile è stata avviata da Lidl in Gran Bretagna dove, presso alcuni punti vendita, è possibile trovare a prezzi scontati merce difettata, ma comunque buona e sicura. In Danimarca Wefood ha fatto un ulteriore passo avanti contro lo spreco alimentare, inaugurando nel 2016 una catena di supermercati che vende esclusivamente beni scartati e donati dalla grande distribuzione. Alimenti dagli imballaggi leggermente danneggiati oppure ancora buoni, ma che hanno superato il limite indicato dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro il…” vengono proposti sugli scaffali a prezzi scontati del 30/50 per cento. I ricavi delle vendite di questi prodotti, donati dalla grande distribuzione a Wefood, vengono utilizzati per sostenere progetti umanitari in Nepal, Bangladesh, Myanmar, Cambogia e in diversi Paesi dell’Africa. Espigoladors è invece un’iniziativa catalana che raccoglie agricoltori disposti ad accogliere sui propri terreni volontari attivi nella raccolta diretta di frutta e ortaggi che non potrebbero essere venduti attraverso la grande distribuzione per semplici ragioni estetiche. Frutta e ortaggi vengono poi donati a realtà attive nel sociale o utilizzati per la linea di marmellate Es-Imperfect: prodotti 100% naturali, sostenibili e buoni, pur essendo realizzati da prodotti “brutti”.
Se in Italia al momento non vi sono esempi virtuosi di supermercati della grande distribuzione che vendano prodotti “brutti, ma buoni”, sono invece diverse le opportunità per fare in modo che gli alimenti arrivati sui banchi non finiscano tra il cibo buttato: LMSC, last minute sotto casa, è un’applicazione contro lo spreco alimentare che segnala agli utenti le promozioni di negozi alimentari vicino casa legate ad alimenti in scadenza o la presenza di prodotti da consumare freschi rimasti invenduti. Funzionamento analogo per Myfoody che propone prodotti stagionali, prossimi alla scadenza o con difetti di confezionamento in vendita scontati. Frutta urbana è invece un’iniziativa nata a Roma e oggi presente anche a Milano che recupera, grazie al lavoro di volontari, la frutta proveniente da piante che nelle intenzioni originarie avrebbero dovuto avere il solo scopo di abbellire le nostre città, ornando giardini pubblici, privati e aiuole. La raccolta, la distribuzione, ma anche la semplice mappatura degli alberi da frutta urbani sono i modi attraverso i quali tutti noi possiamo iniziare a dare il nostro piccolo contributo. Non si butta nulla e tutto fa.
Articolo pubblicato su WU 91 (ottobre 2018). Segui Elisa su Facebook
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