LA CUCINA INDIGENA
La cucina indigena rispetta il pianeta e protegge la nostra memoria: gli chef riscoprono così antiche ricette e ingredienti locali, troppe volte sconosciuti o dimenticati. E a guidarli sono spesso le popolazioni indigene, che da sempre detengono i tanti segreti della loro terra
di Elisa Zanetti
È tutto nella terra e nelle mani delle persone che da sempre la amano, la coltivano e la preservano. Bastano poche parole per condensare il senso profondo di una tendenza in cucina che potremmo definire sostenibile, solidale o, perché no, indigena. Sono in crescita e sparpagliati in tutto il mondo gli chef intenti a riscoprire piante spesso inutilizzate perché sconosciute o dimenticate e a collaborare con le popolazioni indigene per poterne carpire i segreti.
Iniziamo la nostra indagine sulla cucina indigena dall’Australia. Classe 1993, la chef Jo Barrett definisce la sua filosofia farm to table e porta sulla tavola del ristorante Winery Oakridge ingredienti locali come carne di emù, canguro coccodrillo, formiche essiccate e ovviamente frutti ed erbe autoctone. Alcuni di questi, come muntri (una mela indigena), l’eucalipto, la limetta australiana del deserto o la prugna Davison, Barrett li ha recentemente proposti a Milano al Campionato mondiale di pasticceria. «Ho sempre amato la storia: non ci sono molte informazioni sui nativi, su ciò che è accaduto loro, oggi però sappiamo di più su come allevano e coltivano: al ristorante collaboriamo con una ragazza in contatto con gli indigeni che ci trasmette le loro conoscenze, ci porta i prodotti e al contempo aiuta loro a sviluppare un commercio sostenibile».
Sempre in Australia Paul Iskov ha lanciato Foraging Fervor, un ristorante itinerante che, collaborando con le comunità locali, propone cene nell’outback a base di prodotti autoctoni. Chef e presentatore televisivo, di origini italiane e scozzesi, Jock Zonfrillo per primo diede spazio alla cucina indigena australiana. Trasferitosi nella terra dei canguri, notò che la cucina aborigena non era rappresentata. Ai molti chef che gli dissero che non valeva la pena darle spazio dimostrò che non era così proponendola nel suo ristorante Orana, ad Adelaide. Non solo: Zonfrillo ha anche creato un’omonima fondazione con all’attivo importanti progetti, tra cui un database per schedare i cibi indigeni e un capannone dove i membri di queste comunità raccolgono e lavorano i propri alimenti.
Nel video disponibile su YouTube Il pianeta vive, se vive la biodiversità l’associazione Slow Food racconta che sulla Terra non scompaiono soltanto specie animali, ma anche centinaia di varietà di frutti e ortaggi, così come le ricette della tradizione. Sono per esempio migliaia le varietà di mele esistenti, ma solo quattro le varietà commerciali che da sole rappresentano quasi il 90% del mercato mondiale. Per provare a porre rimedio Slow Food ha lanciato l’Arca del Gusto, che cerca in tutto il mondo prodotti agroalimentari poco noti o a rischio per proteggerli, e l’Alleanza Slow Food dei cuochi che unisce chi sostiene i piccoli produttori e valorizza la biodiversità, prediligendo prodotti locali. «In tutto il mondo abbiamo una ricchezza culturale gastronomica e dobbiamo farla conoscere», racconta sempre a Slow Food Claudia Albertina Ruiz Sántiz, chef originaria di una comunità indigena del Chiapas, che nel suo Kokono propone una cucina sostenibile. «Sfortunatamente ci sono pochi cuochi coscienti del cambiamento climatico […] molti si concentrano semplicemente sull’ideare nuove creazioni, siamo in pochi a renderci conto che il nostro pianeta è cambiato […], io trasmetto tutto questo a chi lavora con me e il mio team ai nostri commensali, cui presentiamo cibi puliti, buoni, che non stanno contaminando l’ecosistema, invitandoli a riflettere».
A Moray, Cusco, in Perù, a 3700 metri sul livello del mare, lo chef Virgilio Martínez nel ristorante Mil lavora insieme alla comunità locale e guida gli ospiti alla scoperta della vita quotidiana degli agricoltori e delle erbe autoctone con un giro tra le colline che circondano l’area. Una guida racconta inoltre le meraviglie delle rovine incas dell’area archeologica di Moray, mentre all’interno di Mil, oltre a gustare una cena di cucina indigena con le delizie del luogo, gli ospiti possono scoprire anche i laboratori dedicati alla distillazione e alla creazione del cioccolato.
Difendere i prodotti locali e trasmetterne la conoscenza è la chiave anche della cucina del pugliese Pietro Zito, che alla definizione di chef preferisce quella di “chef contadino”. Nel suo ristorante Antichi Sapori di Andria, infatti, la parte del leone la fa l’orto, luogo prediletto nel quale Zito accoglie gli ospiti che possono cogliere ciò che comporrà la loro cena e i bambini, cui racconta i segreti del territorio. «Se non ne tramandiamo la conoscenza, alcune erbe rischiano di essere dimenticate e di scomparire – commenta Zito – la cucina che propongo è contadina, desidero riportare in tavola ricette della tradizione che sono state messe in secondo piano». Un esempio? L’acquasale, uno dei piatti più comuni ai tempi dei nonni di Zito, preparato con lo scopo di non buttare il pane avanzato, cui si aggiungono pomodorini e portulaca, un’erba infestante, ma molto saporita. E così in cucina si impara che nulla si butta e molto più di quello che crediamo si usa
Articolo pubblicato su WU 99 (dicembre 2019 – gennaio 2020). Nella foto in alto: una creazione dello chef peruviano Virgilio Martinez del ristorante Mil con prodotti tipici peruviani
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