THE LAST DANCE: CHE BELLO IL MICHAEL JORDAN DI NETFLIX!
‘The Last Dance’ di Netflix racconta Michael Jordan e gli ultimi Bulls campioni NBA del 1997/98: una storia di sport raccontata come mai prima d’ora
di Stefano Ampollini
Stagione 1997-1998. I Chicago Bulls sono i Campioni NBA in carica e da molti sono considerati la squadra più forte di tutti i tempi. Si sa quanto sia difficile costruire una franchigia che possa aspirare al titolo: ogni tessera del mosaico deve essere quella giusta e deve incastrarsi perfettamente con le altre. E i Bulls sono forse l’esempio migliore di alchimia vincente nella storia della principale lega professionistica del mondo.
Tutto cominciò al draft 1984, il più ricco di talento della storia. La prima scelta assoluta fu un centro nigeriano di indubbio talento: Hakeem Olajuwon. Finì agli Houston Rockets. La seconda scelta fu Sam Bowie, un anonimo centro proveniente dall’Università di Kentucky. La terza scelta fu un certo Michael Jordan da North Carolina, l’uomo che avrebbe cambiato per sempre la storia dei Bulls e di tutto il basket.
Per atletismo, carisma e leadership nessun altro atleta avrebbe lasciato il segno più di lui. Anche fenomeni come il rimpianto Kobe Bryant (quello che più ha provato ad assomigliargli), Lebron James o Stephen Curry, re incontrastati degli anni Duemila, si sarebbero poi mossi sulle sue tracce e nella sua ombra. Un suo vecchio allenatore a North Carolina disse che «Mike era l’unico a poter accendere e spegnere il proprio talento, e non lo spegneva mai».
Come tutti i vincenti Michael Jordan odiava perdere, ma il basket non è uno sport individuale e per emergere doveva avere attorno a sé le persone giuste. Le trovò nel coach Phil Jackson e in Scottie Pippen, il suo numero due ideale. A scoprirli e a portarli a Chicago fu un uomo basso, tozzo e ruvido nei modi. Era il General Manager e si chiamava Jerry Krause. Le cronache raccontano che al draft del 1987 Pippen fu la 5° scelta e se lo aggiudicarono i Seattle SupeSonics, che però lo cedettero subito ai Bulls in cambio di Olden Polynice (chi se lo ricorda alzi la mano). Artefice dello scambio fu proprio Krause, che dimostrò così doti manageriali eccezionali e un fiuto per il talento fuori dal comune.
Il puzzle perfetto era così completo: dalla stagione 1990-91 vinsero cinque anelli e segnarono un solco difficilmente replicabile nella storia di questo sport. Ma mentre la squadra ancora stava festeggiando il suo ultimo anello accadde qualcosa che incrinò per sempre i rapporti all’interno della franchigia. “Never change a winning team” cita un vecchio mantra seguito anche da molti manager, ma evidentemente non da Krause. Fu lui a distruggere la macchina perfetta che aveva creato, forse accecato dall’invidia per quegli uomini straordinari che vincevano grazie a lui, ma nonostante lui. In particolare i rapporti burrascosi e insanabili con Phil Jackson non si potevano più nascondere. Decise di cacciarlo, ma la rivolta della squadra, guidata da MJ, costrinse la proprietà a un passo indietro. Ma solo per un anno. Krause lo disse chiaro a Jackson: «Questo sarà il tuo ultimo anno, anche se dovessi vincere tutte le partite». Jackson accettò e alla prima riunione con la squadra si presentò con il manuale degli allenamenti con scritto in copertina The Last Dance.
A testimoniare questa incredibile storia di sport fu una troupe televisiva di ESPN che per tutta quella stagione fu autorizzata dalla NBA a seguire la squadra ovunque. Grazie a tutto quel materiale girato si è potuta raccontare l’ultima stagione gloriosa dei Bulls prima che si disgregasse per sempre. Nasce così The Last Dance, questa serie che Netflix ha lanciato il 20 Aprile con le prime due puntate. Altrettanti episodi verranno presentati ogni lunedì fino al 18 maggio, per un totale di dieci episodi. Un bel regalo per tutti gli appassionati di sport costretti a casa in quarantena.
Nella foto in alto: Michael Jordan e Scottie Pippen in maglia Bulls, foto di Andy Hayt
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