CLUB NATION – L’EPOPEA DEL CLUBBING
Iniziamo oggi una serie di interviste ai protagonisti della club culture (non solo) milanese, ripercorrendo la loro storia e cercando di capire insieme cosa accadrà a questo mondo. Il primo ospite è Club Nation, artefice della rinascita dei Magazzini Generali
di Stefano Ampollini
Ruggero Isacchi e Stefano Astore sono di Bergamo, si conoscono dal 2002 e negli anni hanno sviluppato una passione fino a farla diventare una professione: organizzare eventi di musica elettronica. Nel gergo si chiamano “promoter”, ma nel loro caso si tratta di qualcosa di molto più variegato. Gestiscono il booking degli artisti, le serate, definiscono le strategie e la direzione artistica di locali, curandone l’immagine, il brand, il sito e i social. Nel 2010 fondano Club Nation e scelgono Milano come loro base: «Venivamo dal periodo d’oro del clubbing e da quel fenomeno nato in Inghilterra che chiamavano new rave – comincia così il racconto di Ruggero – fino ad allora i dj, tranne poche eccezioni, erano semplicemente quelli che mettevano i dischi, ma da lì a poco sarebbero diventate delle vere e proprie star».
Come si è evoluto il clubbing in quegli anni fino ad arrivare ai giorni nostri?
Nel 2004-2005 il clubbing a Milano era qualcosa di davvero esclusivo. Era importante partecipare per il fatto stesso di esserci. D’altra parte già superare le selezioni all’ingresso di Lucio Nisi al Plastic o di Marcelo Burlon ai Magazzini era un’impresa. A noi in quel momento interessava soprattutto fare party e creare un’esperienza che la gente potesse ricordare. Poi arrivò il momento dei dj superstar.
Quando cambiò tutto?
La svolta fu nel 2008, con l’avvento degli smartphone e dei primi social media. Ibiza era già l’eden dell’elettronica in Europa, la meta alla quale tutti aspiravano, ma fino ad allora i racconti arrivavano solo tramite passaparola o dalle foto degli amici che ci erano stati. Facebook contribuì a svelare quel mondo e a renderlo accessibile a tutti. Anche i promoter nati da poco come noi si avvantaggiarono molto delle novità tecnologiche e gli effetti furono dirompenti sulla popolarità dei dj e dei party. Le grandi agenzie internazionali, che fino a quel momento gestivano personaggi come Amy Winehouse o Beyoncé, fiutarono la cosa e iniziarono a mettere sotto contratto dj come Carl Cox o Richie Hawtin. Il marketing fece il resto e l’effetto immediato fu una lievitazione esponenziale dei cachet degli artisti. Negli stessi anni, però, scoppiò la crisi finanziaria e la combinazione dei due fattori segò le gambe all’intero movimento, soprattutto in un Paese come il nostro dove la domanda si stava ancora formando e l’aiuto delle istituzioni era (ed è) sempre stato assente.
Come ne siete usciti?
Da una parte si tornò un po’ alle origini, dall’altra il clubbing prese una direzione chiara che ci ha accompagnato fino ad oggi. Il locale, ossia il contenitore, non fu più messo al centro della scena e, di conseguenza, scomparve il concetto di “selezione all’ingresso”. Quello che contava davvero era il contenuto, ossia la programmazione musicale. I dj ormai erano delle star e da lì non si poteva più tornare indietro. Erano loro i nostri pifferai magici. Ma in giro c’erano meno soldi rispetto a prima. Poteva sopravvivere chi si creava una propria identità chiara, identificava un pubblico di riferimento e sapeva coltivarlo nel tempo. I locali funzionavano solo se dimostravano di avere una strategia e una direzione artistica forte. E a volte non era neppure sufficiente, purtroppo.
Un po’ quello che accadde con i Magazzini Generali. Come avvenne il ritorno di Club Nation?
I Magazzini avevano vissuto un lungo periodo di successi: prima grazie al lavoro di Soresina o di dj come Lele Sacchi, fino all’epopea di BuggedOut! e Marcelo Burlon durante il quale noi di Club Nation eravamo produttori e dj. Poi, per qualche anno, più nulla. Si faceva ancora qualche live, ma il locale non era predisposto e soffrì la concorrenza dell’Alcatraz prima e del Fabrique poi. La sua dimensione giusta era quella del club e, quando nel 2017 Club Nation fu richiamata a gestirne la programmazione artistica, ci prefissammo proprio questo obiettivo: rimettere i Magazzini al centro della scena clubbing milanese. Ed è quello che siamo riusciti a fare fino all’avvento del Covid. Il primo anno abbiamo messo a calendario un appuntamento ogni due mesi, nella stagione 2018-19 uno al mese e, da settembre dello scorso anno, abbiamo ulteriormente raddoppiato la nostra programmazione con due serate al mese. Abbiamo riportato ai Magazzini artisti come Laurent Garnier, Jeff Mills, Ellen Allien, Kerri Chandler, ma anche dj dal sound molto berlinese come Ben Clock e Marcel Dettmann o più mainstream come Black Coffee o Sven Väth. Proprio gli ultimi due avrebbero fatto parte della seconda parte di questa stagione.
Si parla di marzo 2021 come possibile data di riapertura dei club. Come sopravvivere fino a quel momento e cosa accadrà dopo?Certamente in questo periodo nasceranno dei format e dei contenitori nuovi, ma la domanda di streaming sarà soprattutto per i puristi e gli amanti del genere e sarà vincolata alla qualità delle piattaforme utilizzate. Anche noi di Club Nation stiamo lavorando a un progetto in tal senso. Molti artisti e qualche web radio si inventeranno dirette live, ma sarà più che altro un modo per mantenere un link col proprio pubblico. Il nostro mondo ha bisogno del contatto con la gente e finché non si potrà riaprire in sicurezza sarà difficile pensare qualcosa di diverso. Per questo saremo certamente gli ultimi a ripartire.
Intervista pubblicata su WU 101 (aprile – maggio 2020)
Nella foto in alto: Laurent Garnier nel 2017 ai Magazzini Generali durante un evento di Club Nation, foto di @ludidax_photo
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