GIORGIENESS – “SIAMO UN VERBO AL FUTURO”
Giorgieness ci ha da poco fatto sentire ‘Maledetta’, il suo ultimo singolo uscito alla fine di maggio che anticipa il nuovo disco a cui sta lavorando. E su come sarà, Giorgia D’Eraclea ha le idee più che chiare
di Futura 1993
Giorgieness è il progetto artistico di Giorgia D’Eraclea nato nel 2011, che nel tempo ha esplorato strade nuove e stili diversi, smantellando, senza paura, i tasselli della propria comfort zone del momento. Giorgia d’Eraclea negli anni ha lavorato sulla sua voce, sul suo stile, presentandosi sempre, però, nella sua più pura autenticità.
Ascoltando in ordine cronologico i lavori firmati Giorgieness, la sensazione è quella di avere davanti una persona, più che un personaggio. Così in Maledetta, singolo uscito il 28 maggio per Sound To Be, la cantautrice racconta, con la potenza della semplicità, la forza di un amore che ha il coraggio di guardarsi negli occhi, e di promettersi di essere, tra presente e per sempre, un verbo al futuro. La voce di Giorgia emerge tra suoni elettronici e ruvidi, risalta per forza e potenza – quasi in un ossimoro – risultando pulita e intensa. Nell’attesa di poterla ascoltare dal vivo, abbiamo fatto una chiacchierata direttamente con lei: ecco cosa ci ha raccontato, tra riflessioni e progetti per il futuro.
Giorgieness è un progetto che negli anni è cambiato: dalla vena rock “ruvida” dei primi lavori, fino a quella più pop – cantautoriale di oggi. Ti va di raccontarci come negli anni hai sperimentato, e come hai raggiunto questa dimensione musicale?
Non saprei raccontare in modo cronologico il lavoro di ricerca e di sperimentazione che ho fatto, senz’altro in questi anni mi sono concentrata sulla voce e sul suo utilizzo. Mi sono resa conto di avere molte più potenzialità di quelle che ho messo nei primi due dischi, ho cercato quindi di diventare sempre più padrona di quello che alla fine è il mio strumento principale. Questo mi ha portata a mettere tantissima attenzione sulle melodie e paradossalmente, lavorando prima alla parte musicale, sono stata più libera di esprimermi nei testi che una volta scrivevo prima ancora della canzone. Ci sarà comunque spazio nell’album per flussi di coscienza meno ragionati e uno di questi è anche la mia canzone preferita di tutto il lavoro, ma avere padronanza delle melodie è stato comunque fondamentale.
Come stai lavorando sui testi, invece?
È una fase creativa importante per me. Ci tengo a usare parole semplici, come ho sempre fatto, ma questa volta ho lavorato tanto sulle immagini e sulla sintesi. Sicuramente lavorare per immagini mi permette di condensare il significato profondo, un po’ come ti permette di fare la lingua inglese, che ha parole corte con le quali puoi esprimere interi concetti. Infine, lavorare con altri autori scrivendo canzoni per loro mi ha insegnato tantissimo. Anche se non ho ancora concretizzato grandi cose come autrice, se non per chi magari si è fidato di me per revisione testi o consigli – forse anche perché, in fondo, quando una cosa mi convince davvero poi fatico a darla ad altri – è stata l’esperienza che ha dato inizio al mio cambiamento e per cui sarò sempre grata.
L’artista che sperimenta e cresce insieme alla sua musica è sempre un’immagine stimolante. Può capitare, però, che di fronte al cambiamento gli ascoltatori più affezionati, abituati a un certo tipo di sonorità, possano non comprendere l’evoluzione musicale. Qual è, secondo te, il giusto compromesso tra crescita personale dell’artista, di un progetto come Giorgieness e aspettative verso gli ascoltatori?
Penso che questo discorso vada calato nel periodo storico in cui viviamo. Intendo dire che oggi un musicista ha la possibilità di comunicare col suo pubblico su vari piani e livelli. Nel tempo puoi fare un lavoro di narrazione che ti permette di raccontare cosa sarà della tua musica ancora prima di pubblicarla. Nel mio caso, credo di aver fatto un percorso con i fan più affezionati, soprattutto negli ultimi due anni, che li ha portati in qualche maniera ad aspettarsi questo cambiamento. Se devo essere sincera non ho avuto questa grande paura della reazione, un po’ per questo e un po’ perché di base cerco di essere sincera: preferisco non piacere con un prodotto in cui credo, che “accontentare” le aspettative precludendomi la possibilità di esprimermi. Quindi più che un compromesso, penso sia un lungo dialogo che bisogna fare, per far capire come ci sei arrivato a quel cambiamento, che senso ha nella tua vita e perché ti calza a pennello. Nel mio caso, ho anche sempre detto che non avrei fatto un disco uguale all’altro in tutte le interviste in cui mi è stato chiesto. Insomma, vi ho avvertito prima!
Il 28 maggio è uscito Maledetta, il tuo ultimo singolo. Sono passati due anni da Nuove Regole; cosa è successo in questi mesi?
Di tutto, dentro e fuori di me in realtà. Quello che è successo l’ho praticamente raccontato nelle canzoni di questo nuovo lavoro, partendo dal momento in cui pensavo di aver perso tutto a quando ho radunato le forze per andare avanti. Nonostante io sia sempre io, inquieta per natura, penso che questo sia il periodo più sereno della mia vita da almeno sette anni a questa parte, e indubbiamente uno dei più belli di questi 28 anni. Ho avuto la possibilità di fare un tour che mi ha assicurato una certa sicurezza economica fino al disco. Questo mi ha permesso di concentrarmi davvero al 100% sulla musica che stavo scrivendo. Una cosa che non avevo mai potuto fare così liberamente fino a qualche anno fa, quando per mantenermi durante la settimana lavoravo e spesso tiravo dritto dopo un concerto per andare a lavoro la mattina. Intanto ho ricostruito la mia vita, in molti sensi.
«Tra presente e per sempre / Ecco cosa ti giuro / Che tra un “vattene via”, un “quando torni, comunque” / Siamo un verbo al futuro». Mi piace questa frase: la certezza, o almeno la promessa e l’impegno di essere, tra presente e per sempre, un verbo al futuro. Credi che il per sempre, oggi, abbia perso di credibilità?
Non lo so, è una domanda complessa. Credo che l’amore, quando è “per sempre”, è senza ombra di dubbio una scelta. La scelta di prendere l’altra persona per quella che è, di lavorare su te stesso e sulla relazione ogni volta che si presenta un problema non evitando le conversazioni scomode, significa arrivare a sapere cosa vuoi e cosa non vuoi e come dare all’altro. È la scelta di fermarsi. In passato non ho avuto tante relazioni, proprio perché in partenza non ero sicura, preferivo non illudere e illudermi. Perché, diciamocelo, stare insieme a qualcuno è anche una bella rottura, e personalmente ci sto dentro solo se sono davvero innamorata. Spesso le infinite possibilità che ci sembra di avere in campo amoroso ci fanno dimenticare che stiamo bene con poche persone, ma anche che c’è differenza tra amore e innamoramento. Un verbo al futuro, appunto, in costruzione, in perenne lavorazione, col presupposto di essere “nel tempo” e non “finché dura”. Penso che l’amore sia come le onde del mare, arriva, poi sembra andarsene, poi torna. Trovo sia una sensazione bellissima guardare la persona con cui stai da tempo, magari mentre parla con qualcuno o mentre fa delle cose normali e sentire che te ne innamori ancora e ancora.
Le onde del mare non sono tutte uguali, verrebbe da dire…
Penso che l’amore sia diverso dopo un anno e dopo trenta. Non migliore o peggiore, ma diverso. L’inizio di una relazione porta con sé una grande fisicità e una ricerca dell’intimità a due, quasi isolandosi, mentre più vai avanti e più quella persona fa parte della tua vita, anche se in alcuni periodi per varie cause si è più distanti o distratti, si guadagna il suo posto in qualcosa che è davvero famiglia. E poi non c’è un amore uguale all’altro: spesso in fasi diverse della tua vita hai bisogno di cose diverse, di persone diverse. Forse ci può essere un “per sempre” nella misura in cui si va avanti insieme, si cresce e si cambia insieme senza che questo allontani. Ci vuole dialogo.
Nel 2019 sei stata impegnata in un tour acustico in solo, Essere me. È stata una scelta mossa dalla voglia di metterti in gioco? Cosa porti con te di quella esperienza?
Il 2019 è stato un anno decisivo, mi sentivo molto sola sotto molti punti di vista e ho pensato che sarebbe stato bello capire cosa, proprio da sola, sapevo ancora fare. Ho fatto un anno e mezzo, dai 18 anni in poi, i primi tempi di Giorgieness insomma, da sola chitarra e voce, ma da subito ho sentito l’esigenza di avere dei live strutturati in maniera diversa per rendere giustizia alle canzoni e all’energia che avevo bisogno di sfogare sul palco. Nel tempo le persone che erano con me sono diventate una sicurezza e mi trovavo davvero nella condizione di non sapere più chi ero da sola e questo si rifletteva malamente sulla scrittura, che si stava accartocciando su se stessa. Non nego che anche l’incertezza discografica mi abbia spinta a cercare l’unica certezza che avevo: l’affetto di chi mi seguiva, di chi mi scriveva per raccontarmi come la mia musica fosse entrata nella sua vita dandogli forza e speranza. Ne approfitto per fare un plauso al mio pubblico, che fino adesso ha sempre dimostrato grande amore e soprattutto rispetto. Le volte in cui ho “sbagliato” qualcosa, anche banalmente ripostando una notizia che credevo vera e si rivela inesatta, mi è stato sempre fatto notare con grande delicatezza e io l’ho ammesso senza problemi. Tornando a noi, l’Essere Me Tour oltre a quella sicurezza economica di cui sopra, importante in fase scrittura, mi ha soprattutto riportata in contatto con la gente che mi ha scelto e questo è davvero impagabile. Ultimo non ultimo, anche il contatto intimo con le mie stesse canzoni che portavo in giro ormai da anni che sa dare l’acustico è stato importante lavorando al nuovo disco.
Per la Giorgieness di oggi, invece, quale pensi sia la forma di live che le si addice di più?
Elettrico, tutta la vita senza dubbio. Anche se adesso vorrei tantissimo delle ballerine! Scherzi a parte sì, sto ancora capendo come e quando potrò riprendere ma ho una voglia di tornare in sala prove che ne basta la metà. Vorrei suonare sempre meno lo strumento con cui mi avete sempre vista, mi piace essere libera mentre canto e più vicina al pubblico, ma allo stesso tempo vorrei suonare anche altri strumenti, cosa che mi sono sempre sentita scoraggiata a fare live. E invece oggi penso che sarebbe bello e stimolante.
Come te lo immagini il nuovo live?
Me lo immagino davvero come una festa, mi sto lasciando margine negli arrangiamenti per poterli rivedere in chiave palco. Avere un live diverso dal disco è una cosa che ho sempre sognato, ma bisogna andare per gradi e fare le cose bene, sbagliare l’impostazione dei concerti è l’ultima cosa che voglio. Vedremo!
Durante la quarantena abbiamo visto la nascita di diverse canzoni, tra marketing e azioni spontanee. Per te, a livello musicale e creativo, come sono stati questi giorni?
Durante il lockdown vivevo su due livelli: se facevo quello che volevo fare nel momento esatto in cui volevo farlo andava tutto bene, ma se per caso mi fermavo o dovevo stare attenta realmente a qualcosa non ci riuscivo. Mi ha salvata il fatto che ci fosse tutta la promo di Maledetta da preparare, mi sono dedicata quasi solo a quello. Penso che le mie memorie del lockdown arriveranno tra molto tempo, quando avrò avuto modo di processare davvero le emozioni che ho provato.
Quali progetti hai per il futuro?
Salvo imprevisti, c’è un disco da finire e che uscirà in autunno. Prevedo un’estate tra studio e telefono, non vedo l’ora.
a cura di Chiara Grauso
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