ZUZU – LA SINTESI PERFETTA
La scoperta del fumetto è arrivata solo a 18 anni, ma da allora Zuzu, nome d’arte mutuato dal nomignolo datole dal padre quando era una bambina, ha trovato il suo mondo e il suo linguaggio, in una perfetta sintesi tra parole e disegno
di Elisa Zanetti
Classe 1996, Zuzu si è fatta conoscere con il libro d’esordio Cheese, una storia adolescenziale di amicizia, amori folli, noia e anoressia. Successo di critica da quattro ristampe in pochi mesi, Cheese le è valso nel 2019 il premio Cecchetto come autrice rivelazione al Treviso Comic Book Festival e il Gran Guinigi come miglior esordiente al Lucca Comics & Games. Nel corso del 2020 ha tenuto la rubrica a fumetti Affari di Zuzu per il sito web di “Robinson” de “La Repubblica” e oggi lavora a un nuovo libro.
La scoperta del fumetto è arrivata solo a 18 anni, ma da allora Zuzu, che è l’appellativo affettuosamente datole dal padre quando era una bambina, ha trovato il suo mondo e il suo linguaggio, in una perfetta sintesi tra parole e disegno
Hai sempre amato disegnare, ma non il fumetto. Come si è evoluta questa passione?
Disegnare è un’attività che mi ha sempre dato piacere ed essendo figlia unica l’ho sempre trovata fantastica. Quella che si è evoluta è stata la mia capacità di raccontare. Fin da piccola scrivevo diari, per una fase ho provato a esprimermi con la fotografia, ma è stato un disastro. Poi all’ultimo anno di liceo ho scoperto il fumetto.
Ti viene riconosciuta una grande capacità narrativa. Prima di incontrare il fumetto hai mai pensato di scrivere e basta?
L’ho sempre tenuta come una possibilità: da piccola, quando non sapevo leggere, guardavo i libri illustrati e inventavo le storie. A scuola amavo scrivere i temi, la scrittura da sola però mi sembrava incompleta. Con il fumetto ho trovato la giusta sintesi fra immagini e parole.
C’è sempre equilibrio fra disegno e scrittura nel fumetto nei lavori di Zuzu?
I fumetti che a me piacciono sono così, c’è un unico segno attraverso due forme di scrittura, il disegno e l’alfabeto. Ci sono delle cose che non posso dire se non con il disegno e viceversa. Ogni storia chiede il suo rapporto fra i due elementi.
Cosa mi dici invece del rapporto fra colore e bianco e nero?
Tendo a lavorare per sottrazione: mi chiedo se una cosa sia necessaria o meno, se non serve tolgo, vale anche per il colore. In Cheese non avrebbe dato nulla di più, quindi l’ho tolto per non distrarre il lettore. A volte, invece, serve per trasmettere uno stato d’animo, come in Red, una storia breve che ho realizzato per un’antologia americana, dove tutto è blu.
A cosa serve il colore qui?
È la storia di due ragazzini che da amici diventano cugini (lo zio di lei si mette con la madre di lui, NdR) e in relazione a questo loro nuovo stato devono smettere di fare alcuni giochi che ingenuamente facevano, come fingere di essere marito e moglie. Il rosso è il colore che rappresenta la vicinanza che raggiungono alla fine della storia, le nuove emozioni che provano, cui però devono rinunciare.
Hai scoperto il fumetto con La mia vita disegnata male di Gipi, che ti ha mostrato anche che questa forma espressiva non deve necessariamente parlare di supereroi, come un tempo credevi. Che panorama ci propone il fumetto oggi?
Non sono nerd in nulla e, pur amando i fumetti, non mi definisco un’esperta. Quello che noto è che, piano piano, il fumetto sta guadagnando autonomia. Fino a ora, per essere nobilitato, veniva legato ad altro, si diceva: «Questo fumetto è cinematografico, questo è letterario, pittorico…». Mi sembra che ora invece non abbia più bisogno di essere paragonato a niente per essere ritenuto nobile e come tutti i linguaggi d’arte è libero di raccontare qualsiasi tipo di storia. È la percezione che sta cambiando: prima veniva considerato solo come lettura per l’infanzia e per i ragazzi.
In Cheese racconti la vita di tre amici, dici di voler far ridere, ma anche riflettere e parli dei disturbi alimentari di cui hai sofferto. Il fumetto è anche un’attività terapeutica?
Sì, nel senso che preparare le tavole mi fa stare bene, mi dà gioia. Più che farmi da terapia, mi aiuta a spiegarmi, mi permette di vedere le cose in modo nuovo, con occhi creativi, mi consente di allontanarmi e guardare con più distacco oppure di avvicinarmi e fissare delle cose belle.
Alle volte la differenza fra come stiamo e come ci mostriamo agli altri è grande. In Cheese ti disegni meno avvenente di quella che sei e, dando spazio al tuo malessere interiore, offri, da una certa prospettiva, una raffigurazione di te più sincera…
Tutte le persone che hanno un mondo interiore molto ricco hanno bisogno di unirlo a quello esteriore, per non sentirsi dissociate. Io lo faccio con il disegno. Il mio modo di rappresentarmi cambia spesso, mantengo degli elementi, come per esempio il naso, ma il resto si trasforma perché rincorre la rappresentazione interiore che ho di me. Questo vale anche nella vita, nel vestire, nell’acconciatura… L’altro giorno sono andata dal parrucchiere perché non sopportavo più i miei capelli, erano troppo “normali” e non erano adatti al mio sentire del momento, ora sono tutti colorati. Sento sempre il bisogno di far incontrare i miei due mondi.
Ti mostrerai più carina nei prossimi lavori perché sei riuscita a risolvere alcuni problemi legati all’adolescenza di cui ci hai parlato in Cheese?
Sì, in quel momento raccontavo una parte di me anche buia, non ho risolto però il problema sentendomi “più carina”, bensì sentendomi in diritto di esistere. Nel nuovo libro che sto scrivendo mostro invece la mia versione più bestiale.
Altri progetti per il futuro?
Oltre al nuovo libro, sto collaborando a un’antologia tedesca e a un progetto per Civita di Bagnoregio che ospiterà ogni settimana un artista, il quale darà vita a un fumetto ispirato a questa esperienza.
Recentemente hai partecipato al Festival del Disegno Fabriano, manifestazione che da Milano si sposta poi per tutta Italia. Com’è stato misurarsi con l’insegnamento?
È stata una bellissima esperienza, ma più che insegnare ho guidato i partecipanti in alcuni esercizi di disegno creativo, proposti dal libro di Betty Edwards Disegnare con la parte destra del cervello. È un testo al quale faccio spesso affidamento, perché può aiutare in qualsiasi attività creativa o anche solo a rilassarsi.
A proposito di libri, c’è qualcosa che stai leggendo che ti va di consigliarci?
Assolutamente sì: Guida galattica per autostoppisti di Douglas Adams e come fumetto Rusty Brown di Chris Ware.
Intervista pubblicata su WU 104 (novembre – dicembre 2020)
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