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In questi mesi senza concerti, un onda virtuale di eventi musicali in streaming è entrata nelle nostre case. E se il domani fosse solo digitale?
di Martina Di Iorio
Ricordate l’universo futuristico di Spike Jonze con il suo Her (2013)? Theodore Twombly, uomo schivo e solitario, compra un’attrezzatura tecnologicamente avanzata che gli permette di vivere una relazione virtuale con un’intelligenza artificiale. Va in scena fotogramma dopo fotogramma l’impalpabilità delle relazioni umane, del loro bisogno primordiale di sentirsi, toccarsi, interagire, mentre si consuma in sottofondo il dramma dell’incomunicabilità.
Un dialogo per niente scontato, a guardarlo da vicino oggi, un’urgenza che ci viene sbattuta in faccia e che ha diversi nomi. Soprattutto nel mondo degli eventi – musicali e non solo – fortemente colpiti da quello che tutti noi conosciamo. Perché se da un lato la tecnologia sembra venirci incontro, abbattendo le distanze sociali che questo 2020 ci impone a livello globale, da un altro pone dubbi e questioni.
Facciamo un passo indietro. Siamo a marzo e giorno dopo giorno come una piaga che si allarga a macchia d’olio i maggiori festival nel mondo annullano le proprie date. Inizia il Coachella – in California – con i suoi ticket venduti a prezzo d’oro; segue il Time Warp in Germania, il Primavera Sound e il Sonar a Barcellona, il Tomorrowland in Belgio. Per citarne alcuni. Nel terreno di casa sembra inevitabile la sorte dei nostrani Kappa FuturFestival, Polifonic, Terraforma, Ortigia Sound System. Da nord a sud dello stivale un cimitero di date saltate, artisti rimbalzati, promesse, rimborsi. Non solo per i festival, potenti macchine da guerra capaci di aggregare migliaia di persone, ma anche palinsesti, progetti, format, workshop, che nella musica elettronica e non solo creano indotto e ricchezza.
Ed ecco che il vaso di Pandora viene scoperchiato, si mostra da un lato – quello degli organizzatori e addetti del settore – e dall’altro – quello delle istituzioni – un grande caos fatto di fragilità socio-economica, vuoti legislativi, mancanza di rappresentanza vera e propria di questa categoria. Anche per questo in Italia si è tardato a utilizzare tecnologia e strumenti digitali per trasformare, non senza dubbi, e riconvertire, non senza difficoltà, un mondo che nasce e cresce per esigenze e fruizioni dal vivo. I dati SIAE sono chiari: la musica, i concerti, con gli eventi, nei primi sei mesi del 2020 hanno registrato un calo del 72,57%, con la spesa al botteghino diminuita dell’86,48%. E dalla FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) ci vengono dati altri dati: se da un lato il consumo di musica è aumentato in lockdown, dall’altro mostra come la maggior parte degli intervistati non rimangono affatto soddisfatti degli eventi in streaming. Secondo la ricerca di Abacus Data, «Il 70% degli intervistati ha visto un evento live su Facebook o altri social media ma il 79% ha dichiarato che sono stati solo parzialmente soddisfatti, e in ogni caso l’esperienza streaming non è in grado di sostituire l’esperienza live».
Rimane comunque pacifico che di questi tempi il live streaming possa essere un modello di business. Le piattaforme preferite: YouTube con il 67%, Instagram con il 53% e Facebook Live con il 52% (fonte: FIMI), senza contare chi ha implementato la propria rete digital creando supporti autonomi. Pionieristico il caso di Club Quarantäne, il rave virtuale creato dal media Resident Advisor, che ha messo in piedi un vero e proprio club con una programmazione online di 36 ore di dj set con i migliori artisti techno e dintorni. Dal loro account Instagram sappiamo che stanno per tornare e sono completamente gratuiti. Un consiglio: navigando dentro il club virtuale andate nel “bagno”, una chat libera da ogni censura, preconcetto o perbenismo.
In Italia non mancano ovviamente esempi. Club2Club, il festival di musica avant-pop ed elettronica di Torino, è partito lo scorso novembre con l’edizione digital C0C (CZEROC). Una programmazione artistica nazionale che ha incluso show e performance site-specific, installazioni sonore pubbliche, e talk. Ovviamente live su clubtoclub.it. Stesso discorso per la Milano Music Week, che ha ragionato sul futuro del comparto musicale con un palinsesto quotidiano di appuntamenti in streaming. Insieme a Linecheck, main content partner, l’obiettivo comune è stato quello di ribadire il ruolo importante del mondo degli eventi musicali nel nostro paese.
Di esempi se ne possono fare tanti, come il format Niente di strano nato dalla partnership tra la piattaforma di streaming TIDAL e Buddybank. Condotti da Carlo Pastore, una serie di appuntamenti sul canale YouTube di Buddybank che hanno coinvolto artisti della scena rap e trap. E di nuovo, il clubbing torna a farsi sentire grazie alla collaborazione con United We Stream, piattaforma di streaming nata come progetto charity per salvare la scena musicale berlinese. Arriva a Milano lanciando Queercheck, un nuovo format sperimentale di eventi in streaming con protagonisti dj e performer.
Si aggiunge a questo elenco l’esperienza di Jazz:Re:Found, boutique festival torinese sui linguaggi musicali contemporanei tra club culture e live. Dopo aver partecipato a una puntata di Place to Be, progetto di IMF (Italian Music Festivals) in Monferrato, ha continuato insieme a Ford a parlare di musica e territorio italiano. Tre live per tre puntate che diventano un viaggio virtuale di trenta minuti da fruire su Facebook e YouTube. Protagonisti: Venerus ad Alassio, Ze in the Clouds al lago d’Orta e Khalab al Forte di Fenestrelle.
Direzione comune: supporto alle community locali e solidarietà a quello che sembra un settore non trattato alla pari. I club fisici, i palchi, le grandi e piccole arene, si alzano in questo sforzo collettivo per ricordare a tutti che anche questo è cultura.
Articolo pubblicato su WU 105 (dicembre 2020 – gennaio 2021). Segui Martina su IG
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