12H, LA PLAYLIST DEL 26 MAGGIO
12H è una playlist con i pezzi più interessanti usciti negli ultimi giorni, perché ci sono sempre nuove e belle canzoni da ascoltare
di Carlotta Sisti
Non ho visto l’Eurovision, ma la sera stessa della finale ho guardato il film Eurovision (titolo completo Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga) con Will Ferrell e Rachel McAdams, il che mi ha fatto apprezzare molto di più alcuni dei capisaldi del contest musical più tamarro del mondo. Tipo il fatto che tutti odiano la Gran Bretagna. Nella pellicola di altissimo pregio (no sarcasmo) l’islandese Lars Erickssong lo spiega alla partner musicale Sigrit Ericksdóttir, in un’analisi lucidissima delle dinamiche che regolano la competizione nella quale il minimalismo è peccato mortale.
Ignara del fatto che “tutti odiano la Gran Bretagna” significasse esattamente quello, quando ho visto che nella realtà si è classificata ultima, con un totale di zero punti, tra voto della giuria e voto da casa, ho pensato che ero di fronte a un Oscar mancato. Non ho visto, dunque, l’Eurovision, ma il film Eurovision è strategicamente terminato proprio poco prima a Rotterdam si stesse per proclamare il vincitore, e quindi ho potuto godere prima di tutto dell’eliminazione della francese Barbara Pravi, che aveva gli occhi pieni dei princìpi dell’Illuminismo e guardava il resto delle platea con malcelato disprezzo, e poi della vittoria dei Maneskin sullo svizzero Gjon’s Tears, che mi dicono essere stato a lungo favorito, ma al quale, tuttavia, di tutta la faccenda pareva fregargliene più o meno quanto a me di un documentario sulle ruspe.
I vincitori di Sanremo, invece, hanno esultato coltamente e scompostamente, come si conviene quando a vent’anni ci si accaparra un titolo che non andava all’Italia dai tempi di Toto Cutugno. Hanno urlato, pianto e si sono abbracciati, tutti, ad eccezione del batterista Ethan, che pareva folgorato sulla via di Damasco, ma che probabilmente, come ha scritto una cara amica, nel suo sbarrare gli occhi, pietrificandosi man mano, era semplicemente l’incarnazione di un tipico esemplare di Toro davanti ad una bella notizia.
Ethan, per altro, e questa tra tutte è la vera notizia, è diventato la nuova crush di Orietta Berti, con buona pace di quel “fiume in piena” che è l’Osvaldo, e fossi in lui gongolerei più per questo che per la doppietta micidiale Sanremo/Eurovision. Ecco, questo, a mio avviso, avrebbe dovuto/potuto essere tendenzialmente lo spessore dei commenti sul trionfo dei Maneskin, laddove anche Mahmood non ce la fece, ovvero esultanza, meme, gossip, punto. E invece, tu guarda che tempi eccitanti, il giorno dopo mi sono svegliata in un mondo che intorno a questa cosa aveva acceso una sorta di battaglia ideologica, ma pure politica.
E no, non sto parlando dell’affaire cocaina, che liquiderei con un pensiero rivolto a Mick Jagger, e alla sua faccia quando ha sentito Damiano invocare l’esame del sangue per fugare ogni dubbia sulla sua reputazione. Parlo del fatto che parecchie persone si sono prodigate, attraverso post e diffusi pezzi di analisi, a farmi sapere che era incompatibile, anzi peggio: era moralmente deprecabile che si potesse al contempo piangere per la morte di Franco Battiato ed esultare per la vittoria dei Maneskin. E, nonostante a questo punto io debba fare i conti con la mia assenza di etica, avendo fatto entrambe le cose, giungo alla conclusione che per poter appartenere alla categoria dei coerenti dovrei ascoltare Fetus, leggere Virginia Woolf, guardare Lanthimos, e probabilmente vergarmi tre volte al dì.
Dall’altra parte c’è però anche chi ha preso i Maneskin vincitori dell’Eurovision e li ha resi portavoce dell’attivismo che si batte contro la mascolinità tossica, contro gli stereotipi di genere, l’omofobia, la transfobia. Ora, sono certa che Damiano, Victoria, Ethan e Thomas siano dei ragazzi sensibili a queste tematiche, ne parlano di tanto in tanto su i loro profili privati, nelle interviste, ma non sono una band impegnata e hanno tutto il diritto di non esserla. Così come hanno tutto il diritto di fare i loro show come gli pare, liberi di esprimersi nel modo che gli pare, senza che questo debba per forza diventare simbolo di altro. Chi dice che Damiano con i tacchi ha affossato decenni di mascolinità tossica non sa, forse, dell’esistenza di un certo David Bowie, che stava su i tacchi, truccato e androgino e dichiaratamente bisessuale, già a inizio anni Settanta, ma che, purtroppo, nonostante sia stato (e continua ad essere) amato da milioni di persone, non ha certo distrutto l’omofobia.
Fosse bastato Bowie, o Renato Zero, o più di recente Achille Lauro e Harry Styles, a dare il colpo di grazi agli stereotipi di genere, non saremmo al punto in cui siamo. Damiano, credo, è un ragazzo che si esprime contro il catcalling, che bacia sula bocca i suoi compagni di band, che ama l’estetica fluida del glam rock e che incarna benissimo la sua generazione, molto più allergica di quelle che l’hanno preceduta alle etichette. Ma finisce e lì e se non dovesse più finire lì, ma diventare altro, gli stessi Maneskin, lo comunicheranno al loro pubblico.
I Maneskin hanno vinto perché il pezzo era forte ed è piaciuto, perché sanno stare bene sul palco, perché sono fighi, hanno stile, suonano bene. Sono ottime ragioni per portare a casa un premio, non c’è alcun bisogno di prendere questa cosa e renderla altro. I Maneskin, e finisco, vengono da un talent nel quale Damiano aveva già ballato la pole dance su stivali con tacco, hanno fatto un Sanremo pieno di strass, make up, tutine color carne, questa è la loro cifra stilistica, non hanno mai detto di voler andare all’Eurovision, che è una manifestazione già di per sé e da tempo queer e LGBTQI+ per, come hanno scritto in molt*, distruggere la mascolinità tossica: sono andati per fare bene il loro spettacolo e per consolidare una carriera che tassello dopo tassello si sta trasformando in qualcosa di gigantesco (mi è arrivato, mentre scrivo, il comunicato che Zitti e buoni è il brano italiano con più stream in un giorno).
Lasciamoli essere artisti, musicisti, liberi, senza auto sabotarci volendoli usare per veicolare, il nostro, di messaggio. Sono bravi e maturi abbastanza da poter parlare da soli. Ora, però, li mettiamo da parte, che di roba nuova non ne hanno fatta, e ci occupiamo delle uscite più fighe della settimana, con una buona quota di casa nostra, che da un po’ di tempo a questa parte regala e non delude.
IL RISVEGLIO: ‘SEBRA’ DI NAVA
Nava, ancora. Arrivati a questo punto, e essendo la, credo, terza volta che sono su 12H, tocca precisare che non siamo parenti, amici, che non le devo dei soldi né favori. Semplicemente il nuovo EP Bloom in poco più di dieci minuti ti fa andare su e giù i battiti cardiaci, tra momenti pressanti, urgenti e quasi duri di elettronica nervosi, e altri delicati come un soffio, come l’aria sempre fresca che portano con sé.
LA PAUSA CAFFÈ: ‘ALDA MERINI CENTRAVANTI’ DI MARTA TENAGLIA O ‘SAMO’ DI DEEPHO
Marta Tenaglia ha qualcosa che non ti spieghi. Forse è personalità, forse è anche il gusto nel sapere dosare gli elementi, calibrati benissimo tra voce, musica, parole. Tutto funziona, ma c’è pure qualcosa in più, che sapremo mettere a fuoco man mano che il percorso di questa milanese, alle sue prime cose in veste di musicista, si farà più chiaro. Certo è che ha tutta la nostra attenzione. Deepho è uno che non ha paura di portare avanti un tipo di rap ostico, difficile, certo non adatto a momenti di puro svago, ma che, al contrario, richiede la nostra concentrazione. Con lui la pausa sarà da fiato corto e mente aperta, ma il tutto arriva, e lascia il segno.
PRANZO: ‘DUE’ DI SVEGLIAGINEVRA E ‘IENA’ DEI GOMMA
Il pop luminoso e rilassante di Svegliaginevra vs i Gomma e il loro ritorno, con la rabbia consueta, che non fa casino tanto per fare, ma si sa esprimere in modo quasi freddo, da cecchino. Del suo primo lavoro Ginevra dice: «Le tasche bucate di felicità è un disco pieno di me, una raccolta di molte cose che mi sono successe e di tutti i sentimenti che ho provato vivendole. Parlo di amori, di posti e di persone nel modo più onesto che conosco e questa è la cosa più bella, per me». Fare le cose in apparenza semplici, ma con originalità, provateci voi. Il video che accompagna Iena, invece, ci porta se possibile al capo opposto del mondo, dove niente è facile, tutto ribolle dentro, mentre fuori l’aria è così pesante che servono maschere antigas. Bentornati ai Gomma e al loro mondo irrequieto che ci fa stare scomodi, ma vigili.
APERITIVO: ‘FYE FYE’ DI TOBE NWIGWE FEAT. NWIGWE
In una celebrazione della potenza, dell’orgoglio e della bellezza dell’essere neri, Tobe Nwigwe ha arruolato tutta la sua famiglia per il video di questo Fye Fye, che è a dir poco perfezione cinematografica. Ogni barra, qui, è una dichiarazione, una sfida, un’affermazione di sé. Nessun momento è sprecato. Il video, girato al Brewster Park di Houston, ha così tanta genialità che è difficile scegliere un momento preferito. Ma «If you Black / We NSYNC / Bye, bye, bye» è probabilmente il miglior testo di tutto l’anno. Nonostante la ferocia del loro flow, la cosa più accattivante della canzone e del video è lo spirito di gioia che emanano. Provateci, a non sorridere guardando Nwigwe circondato dalla sua squad, vestita verde schiuma di mare, con tocchi di bianco qua e là in un’attenzione impeccabile al dettaglio. A metà del pezzo la moglie di Nwigwe, conosciuta come “Fat”, abbellisce la scena con un verso altrettanto violento di quello del marito nigeriano-americano. Entrambi rappano con crescente aggressività, uniti da un coro di voci. Il video, chicca finale, si chiude con le figlie di Nwigwe che fanno un cameo, mentre la folla canta «If you Black / We * NSYNC / Bye, bye, bye». Ciao a tutti, decisamente.
PRIMA DI ANDARE A DORMIRE: ‘IF I COULD’ DI CHARLOTTE DAY WILSON E ‘ACQUARIO’ DI BRIVIDEE
Prima che venga scippata da Grey’s Anatomy per una delle scene in cui muore in modo straziante uno dei protagonisti, la mettiamo sana e salva qui, in tutta la sue bellezza. La soulful cantante canadese Charlotte Day Wilson ritorna con la sua voce, perfettamente stratificata, in If I Could, primo singolo prima del suo album di debutto, Alpha, che uscirà a luglio, nel quale Wilson fa riferimenti biblici che si amalgamano alla melodia, ai cori, al mood e tutto ti fa partire per, come cantava Battiato, “un viaggio interstellare”.«Ti farei il bagno / La laverei dai peccati che ti affliggono / Ti libererei dai fardelli e saresti di nuovo libera». Amen. Ritroviamo anche Brividee, che ci culla di nuovo tra una solitudine non pacificata e una nostalgia bittersweat, mentre la musica è sempre il territorio conosciuto e amico nel quale stare al sicuro.
BONUS INSONNIA: ‘SINK IN’ DI TIRZAH
La musica sperimentale di Tirzah evoca un sogno ricordato a metà, un luogo in cui l’atmosfera è instabile e astratta. Una linea di chitarra isolata, un controtempo r&b sono racchiusi in una produzione frammentata e guidata da una voce mormorante che scava in profondità. In questa Sink In, l’artista britannica canta di desideri di intimità che sono rapidamente complicati dal dubbio: «Amerò, mi fiderò di nuovo, mostrerò che sto bene». La sua ammissione riecheggia e poi si spegne, esprimendo sia l’esitazione a essere ferita sia l’eccitazione di innamorarsi. Sink In è un pezzo in orbita in quel percorso difficile che va verso l’impegno, ma in modo irrequieto, un push-and-pull mentale che diventa dolorosamente tenero nella voce di Tirzah.
Nella foto in alto: Svegliaginevra
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La playlist 12H di WU curata da Carlotta la trovate anche su Spotify, qui sotto il player
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