GIAIME – RIALZARSI COME UN BOSS
‘Figlio maschio’ è il nuovo album di Giaime. Dopo essersi cimentato per anni con singoli e mixtape, è il momento di dimostrare che «non c’è nulla di male a fare flop se ti sai rialzare come un boss»
di Nicolò Tabarelli
Giaime Mula è un rapper particolare e infatti non ha un nome d’arte. Classe 1995, di padre sardo e madre abruzzese, nasce a Milano ma vive a Pescara fino agli 11 anni. Una volta tornato nella sua città natale si lancia subito nel rap. Alle medie fonda il collettivo 5012 e dal 2011 è parte della Zero2. La prima testimonianza di Giaime al microfono è un feat con Lazza del 2011. Dopo molti mixtape e tantissimi singoli, Giaime è tornato a esprimersi con un album. Le produzioni sono curate da Andry the Hitmaker con cui forma un duo pienamente consolidato.
È da un po’ che non pubblicavi un album? Com’è andata la lavorazione?
Ho scritto l’album in sei-sette mesi. È stato un periodo pieno di eventi, c’è stato il Covid 19, ma comunque si è andati avanti. Ero pieno di cose da dire e mi sono uscite tutte in maniera molto naturale. Anzi, a un certo punto l’album era finito e non mi ero neanche reso conto che stavo per chiuderlo!
Quanto è stato difficile trovare l’ispirazione per scrivere durante la pandemia? Riuscivi ad avere stimoli?
L’ispirazione viene da sé. La pandemia è stato un evento globale, mondiale. Non lo dico per sembrare montato o narcisista, ma alla fine l’ispirazione per i tuoi pezzi ti viene anche al di là degli eventi mondiali. E penso che sia anche giusto, in un certo senso. Il disco magari è più introspettivo di quanto non sarebbe stato altrimenti. E infatti l’ho chiamato Figlio maschio. Il figlio maschio sono io, in quanto figlio unico. Però non ho mai pensato troppo a quanto la pandemia avrebbe inciso. Alla fine questo album è un figlio maschio del Covid.
Come mai hai fatto così fatica, finora, a emergere in maniera definitiva?
Questo è un discorso da terapia forse. Per una cifra di motivi? Non so bene quali. Alcuni sì, altri non sono chiari nemmeno a me. Sicuramente da quando ho incontrato Andry sono riuscito a costruire un’identità più coerente e più potente e questo aiuta a esprimere una certa forza di comunicazione sul rap italiano. Insomma per un milione di motivi. Non so se è così grave alla fine, non tutti siamo uguali.
Come hai scelto i feat dell’album? Gué Pequeno e Jake La Furia sullo stesso disco era da un po’ che non capitava!
Tutti i brani in cui ci sono featuring sono brani in cui ci stava che ci fosse un featuring, anche quelli sono arrivati naturalmente. L’atmosfera del disco mi ha portato a contattare entrambi i Dogo. Poi c’è sempre un momento in cui ti dici: «Sto chiamando una leggenda, cosa succede se mi dice di no?». Ma è andata bene e hanno spaccato entrambi, ovviamente. Altra cosa importante: sono passato da non aver mai fatto una canzone con una ragazza ad avere due tipe su un disco, Rose Villain e Chadia. Mi sono piaciute tantissimo.
A proposito delle scelte dei feat: anche tu come Gué e Jake hai un compagno con cui hai condiviso un bel pezzo del tuo percorso, Lazza. Come vivi il rapporto con lui? Quanta competizione c’è?
Posso solo essere contento se Lazza ha successo. Poi chiaramente c’è competizione, ma una competizione sana. Magari lui fa una cosa che volevo fare io e la fa meglio o viceversa e questo aiuta a migliorare. Ci vogliamo bene, la nostra amicizia va veramente oltre. Oltre il successo, oltre la scena, anche oltre il rap. Lui in questi anni ha veramente spaccato. Secondo me come forza di comunicazione sul rap italiano è stato il primo o secondo miglior rapper negli ultimi anni in Italia. Non è detto che riuscirò mai avere questa forza di comunicazione sul rap. Entrambi ci stiamo sviluppando, ognuno nella sua direzione, ognuno seguendo quella che sarà la sua strada. Insomma, solo amore per Lazza.
Sempre a proposito dei Dogo, Gué con Fastlife 4 sembra aver riportato al centro la scrittura, gli incastri, le metriche e le punchline. La tua storia dice che potresti essere il candidato perfetto per raccogliere quest’eredità.
Guarda, se Gué ha la forza comunicativa che credo abbia allora vedremo grandi cose. Fastlife 4 è una dichiarazione del tipo: «No stronzate, vogliamo rappare». Per me è una vittoria. Penso che tutto quello che la mia generazione ha portato, l’ha portato grazie a chi ci ha preceduti. Già coi Dogo il rap era diventata una cosa “figa” invece che da coglioni. Il rap è diventato un fenomeno di massa con uno sforzo collettivo di tutti. Lo penso veramente non sto qui a dire stronzate: chi più, chi meno, ma di tutti. Se poi, chi ha forza comunicativa riesce a indirizzare il fenomeno nella giusta direzione, ancora meglio. Sarà più facile.
In Sequel parli di flop, un tema raro per un genere che ha nell’autocelebrazione uno dei suoi temi fondanti. Mi ha ricordato una conferenza di Ernia in cui raccontava l’enorme pressione a pubblicare album ogni due anni.
Ernia è una persona intelligente, che stimo. Ho avuto il piacere di conoscerlo e quello che già pensavo si è confermato. Quindi quando uno come Ernia parla, sto molto attento. Quest’ansia di pubblicare ce la dobbiamo togliere. Per ora è un lavoro di questo genere, a meno che non ci siano scioperi degli artisti. Devo dire però che la mia casa discografica non mi ha mai pressato sull’uscita dell’album. Poi comunque si capisce da tante cose che non c’è bisogno di essere sempre attivi: sono stato zitto per otto mesi sui social ma, quando ho pubblicato la tracklist, ho avuto un aumento di follower molto più alto che non se li avessi rincorsi con mille post.
C’è qualcosa di concreto dietro lo sciopero? È un’aria che sembra tirare da un po’ nella scena.
Momentaneamente è un discorso molto interessante, ma è un discorso e basta. Poi bisogna vedere: sta ai tanti artisti col cervello premere in questa direzione se ce ne sarà bisogno. Ma per ora lo lasciamo lì e lo riprendiamo ogni tanto.
Nella foto in alto: Giaime
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