SHABLO – ARTISTI DELLA PROPRIA VITA
È uno dei pilastri della scena rap del nostro Paese e ha vissuto da protagonista tutte le evoluzioni che questo genere ha avuto nel corso degli anni. In occasione della sua partecipazione all’evento Saucony Originals per la Milan Design Week 2021, ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda sullo stato dell’arte del rap
di Nicolò Tabarelli
Shablo è uno delle grandi menti della scena rap italiana di oggi e non solo come produttore. Ha vissuto i diversi momenti dell’evoluzione di questo genere musicale nel nostro Paese e lo ha fatto da protagonista. Ma è anche una persona libera, che non si nasconde dietro a un dito se gli chiedi un’opinione sullo stato di salute del rap in Italia. Shablo sarà protagonista dell’evento di Saucony Originals alla Milan Design Week il prossimo 6 settembre che celebrerà il 30esimo anniversario della sua Shadow 6000: ne abbiamo approfittato per fargli qualche domanda, che trovate qui sotto.
Nel 2001 sei arrivato in Italia dall’Argentina e hai esordito in Tutto il mondo con Inoki. Com’è stato l’impatto con Perugia dopo essere cresciuto a Buenos Aires? In Sudamerica eri già in una scena hip hop locale?
Sicuramente è stata un’esperienza impattante, perché passare da una città come Buenos Aires – una metropoli di 15 milioni di abitanti – a una città come Perugia capoluogo di regione che ne fa meno di 300 mila, è stata un’esperienza molto forte che in realtà mi ha stimolato e spinto a cercare la mia dimensione attraverso la musica e, quindi, attraverso il rap. Sono andato via dall’Argentina quando ero piccolo, ma le mie origini mi hanno influenzato molto nella mia crescita culturale e qui in Italia, quando ho sviluppato la mia personalità artistica, mi sono portato tutto il background sudamericano che ancora oggi continua a influenzare la mia visione.
In questi anni l’evoluzione dell’hip hop in Italia è passata anche dalla accettabilità sociale di questa cultura. Come siete riusciti voi protagonisti a scardinare un’immagine di questo mondo a volte negativa e trasformarla a tal punto che producer e rapper sono oggi considerati “freschi” e vengono chiamati come testimonial?
Il passaggio è stato graduale e anche lungo: da essere considerati genere di nicchia e alternativo rispetto al pop mainstream, si è passati oggi a rappresentare esattamente quella categoria. Ci sono voluti quasi vent’anni per avere questa evoluzione, per scardinare dei pregiudizi e attendere un cambio dirigenziale nelle alte sfere della discografia e della gestione di tutto l’iter. È stato fondamentale il cambio generazionale di pubblico, che ha permesso di dare voce e potere a un genere che per molto tempo non è stato preso in considerazione. Quella del digitale nella musica è stata una delle rivoluzioni più democratiche degli ultimi anni, perché ha permesso a ogni giovane di essere rilevante e poter scegliere quelli che sono i propri gusti senza dover fruire passivamente quello che veniva proposto dalla televisione o dalla radio. Anche l’attenzione verso l’immagine a livello estetico è aumentata e gli artisti sono diventati icone, diverse dall’immaginario street degli anni Novanta e degli anni Zero, e quindi anche più appetibili per i brand che decidono di investire anche su artisti urban.
Oggi discutiamo di Donda di Kanye West e delle strade che si possono sperimentare per fare musica, dove non per forza il disco è il formato vincente, sostituito da un formato più fluido, in parte ancora da immaginare, con cui puoi smontare e rimontare i brani. Ti faccio la domanda più scontata: com’è cambiato il tuo lavoro (non solo di beatmaker, ma anche di manager) in questi vent’anni? E come pensi cambierà nel prossimo futuro?
Quello che lega il mio lavoro a un modello come quello di Kanye West è che è fondamentale avere una visione. Mi ritengo un visionario, ho cominciato facendo musica, cosa che tuttora faccio, e in più collaboro insieme agli artisti con cui lavoro a sviluppare a 360 gradi le loro carriere. Per il mio lavoro è basilare capire dove vuoi arrivare e soprattutto, nel campo manageriale e organizzativo, avere un’etica lavorativa in grado di guidarti nelle scelte che ti trovi a dover prendere. Per me è stato importante diversificare, sia per mia crescita personale, sia come spinta verso nuovi stimoli. Dopo diversi anni nell’ambiente, è essenziale sperimentare e conoscerne ogni aspetto. La mia visione passa attraverso quello che cerco di trasmettere: sono un produttore/regista che mette insieme i pezzi in ambiti diversi come management, diritti d’autore, live, produzione. Non è solo fare la musica, ma essere produttore nel senso più alto dove tutto si costruisce insieme, lavorando a lungo raggio sulla carriera. Il goal è divenire artisti della propria vita.
La trap è un genere ormai dominante in Italia, ma è giunta a una fase un po’ stagnante. Come si esce da questo stallo? La via è quella indicata da Fastlife 4?
La trap è una definizione e come tutte le definizioni ha dei limiti. Credo che il momento, cominciato nel 2016, dove chiunque faceva trap, sia oggi finito. Ci sarà una grande selezione, anzi, sta già avvenendo, e chi ha avuto una visione e una grande forza di volontà andrà avanti e proseguirà, ma ovviamente la trap, intesa come stile musicale, si evolverà come tutte le altre cose. Oggi si parla molto della drill per esempio, ma allo stesso tempo anche la drill non credo avrà la sostanza per resistere come unico genere a se stante. Sono tutti sottogeneri di una grande madre che è il rap. È giusto che sia così, che ogni tanto venga fuori qualche nuovo stile e qualche nuova influenza che poi tutti cavalcano perché è anche stimolante per gli stessi artisti. Lo stesso Guè riesce a passare con disinvoltura da un sound anni Novanta a un sound trap passando per la drill. Quello che lo rende un artista di tale spessore, un rapper diverso e longevo nel tempo, non è tanto il genere o lo stile che fa, ma la coerenza con la quale si esprime artisticamente negli anni e lo spessore che lo contraddistingue.
In una riflessione di qualche anno fa, il critico musicale Simon Reynolds si dichiarava stupito dalle dichiarazioni di Skepta a sostegno di Jeremy Corbyn. Gli sembrava curioso che il rappresentate di un genere che pone l’accento sul successo individuale potesse riconoscersi a sinistra. Esiste una contraddizione non sciolta tra valori contrastanti nel rap contemporaneo? Da un lato il successo e i soldi, dall’altro un’attenzione al sociale che ancora permane?
Non vedo alcun contrasto, anzi credo che le politiche “a sinistra” abbiano sempre sostenuto le evoluzioni personali, la crescita intellettuale, ma anche economica dell’individuo, per portarlo a una propria indipendenza. Anche perché oggi è davvero difficile individuare quella che è la sinistra, il centro o la destra, è difficile individuare una visione più democratica da una invece conservatrice in un mondo in cui le divisioni politiche non sono così nette. Nell’ambizione di voler uscire da una situazione di disagio, di difficoltà, nel voler emergere dal punto di vista culturale, economico e intellettuale, vedo una grandissima ispirazione socialista per cui non vedo le due cose come in contrasto. Il problema più grande semmai è l’immersione totale nel materialismo contemporaneo di tanti artisti che, fondamentalmente, dimenticano che l’arte è dare voce alle parti più profonde dell’anima e dell’essere. Si concentrano esclusivamente sui risultati materiali che questo successo porta, senza pensare che tutto questo è una grande benedizione che ti può permettere di essere più sereno nello sviluppare un’introspezione e una crescita personale.
All’imminente Milan Design Week sarai protagonista all’evento di Saucony Originals che celebra il 30esimo anniversario di uno dei suoi modelli icona, la Shadow 6000. Quando hai iniziato ad avvicinarti sul serio al mondo delle sneaker? Sei stato un collezionista della prima ora o il fascino è nato dopo?
Da sempre son stato affascinato dal mondo delle sneakers anche in momenti in cui non avevano rilevanza nel mondo fashion. Solo negli ultimi anni è incredibile vedere quale sia stata la risonanza, sono a tutti gli effetti un accessorio fondamentale. Ne sono affascinato e seguo con molta curiosità tutti i brand che hanno qualcosa di innovativo da proporre.
Nella foto in alto: Shablo
Shablo su IG
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