BIENNALE 79 – RUMORE BIANCO
Rumore Bianco di Noah Baumbach con Adam Driver è uno dei film più attesi alla 79esima edizione della mostra del cinema di Venezia
di Davide Colli
La 79esima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia apre i battenti con l’ultima fatica di Noah Baumbach (Storia di un Matrimonio), White Noise (Rumore Bianco), tratta dall’omonimo romanzo di Don Delillo, che vede come protagonista Adam Driver nei panni di Jack Gladney, professore universitario specializzato in studi hitleriani, ma anche padre di famiglia all’improvviso alle prese con una nociva catastrofe naturale.
Tra i compiti più ardui per un regista vi è la capacità, in caso di materiale cartaceo di partenza, di trasporre il senso dell’opera originale, non trascurando tuttavia la propria poetica e cifra stilistica. La bibliografia di Delillo è considerata dai più uno scoglio insormontabile per questo tipo di operazione che non si limita alla mera traduzione (solo Cronenberg con Cosmopolis è riuscito nell’impresa), a causa probabilmente dell’intreccio rarefatto dei suoi lavori, che spesso vagheggia in descrizioni e riflessioni che esulano dal plot “principale”, come grandissima parte della narrativa metamoderna.
Lo stesso Jack Gladney (Adam Driver), durante il primo capitolo di Rumore Bianco, enuncia che tutti i plot sono destinati a morire o a portare morte, stando a significare anche la fine della narrazione lineare all’interno della narrativa di tardo Novecento. Proprio la morte è il tema principale su cui Delillo sceglieva di focalizzarsi col proprio romanzo, lasciando trasparire questo suo intento con sempre maggior lucidità con lo scorrere delle pagine. Baumbach sceglie la strada più semplice, preferendo concentrarsi su una sommaria satira al consumismo sfrenato, che colpisce anche la cittadina statunitense più periferica, che invece Delillo analizzava in maniera oculata nel primo capitolo del libro.
Le frasi dell’autore italoamericano sono riportate sul grande schermo in maniera pedissequa, con una rielaborazione quasi nulla. L’obiettivo, però, cambia, o per lo meno, diventa più mirato rispetto al romanzo, ma allo stesso tempo affrontando le questioni sollevate da Delillo con una superficialità ormai sempre più dilagante in certo cinema autoriale a stelle e strisce. Rumore Bianco, capostipite esemplare di un’intera corrente letteraria, vede snaturate le peculiarità della stessa nelle sua trasposizione cinematografica, non riuscendo nemmeno ad assorbire l’impronta del regista dietro la macchina da presa.
La solita famiglia disfunzionale c’è, Adam Driver è come al solito ineccepibile, ma manca la naturalezza di Baumbach nel tratteggiare i rapporti umani, punto di forza della sua intera filmografia, che invece in Rumore Bianco appaiono artificiosi e appesantiti dalla necessità di riportare le precise parole della fonte letteraria. Non un fallimento, piuttosto l’ennesima riprova della difficoltà di passare da un medium all’altro, conservando il messaggio essenziale senza travisarlo, ma esaltandolo con le possibilità del nuovo mezzo.
Nella foto in alto: Adam Driver, Greta Gerwig, Raffey Cassidy, Sam_Nivola in ‘Rumore Bianco’, photo credit Netflix
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Davide Colli
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