TRULY DESIGN – L’ARTE DI SFIDARSI
Lo studio di Torino specializzato in graffiti tridimensionali e arte anamorfica ha stupito tutti con We, opera presentata durante la ultima design week milanese, e sta ridisegnando con il suo stile i playground di tutta Italia mettendosi sempre alla prova
di Enrico S. Benincasa
Quindici anni di attività ufficiali come studio, ma molti di più sul campo: Truly Design è una realtà solida e riconoscibile nel mondo del design e dell’arte urbana non solo in Italia. Originariamente in quattro, oggi i tre fondatori – Mauro149, Rems182 e Ninja1 – portano avanti il loro percorso nato a Torino, la loro città. L’incontro con l’anamorfismo, complice un viaggio a Londra, ha dato loro la possibilità di esplorare un territorio artistico e tante soddisfazioni, ma è riduttivo parlare di Truly solo per questo. Lo dimostra, per esempio, il lavoro che stanno facendo con gli spazi pubblici sportivi e in particolare con i campi da basket. Proprio in una pausa di uno di questi lavori chiacchieriamo con Emanuele Ronco aka Rems182, creative director di Truly Design.
L’estate è stata piena di cose da fare per Truly Design, dai social vi vediamo molto attivi nella realizzazione di diversi playground in giro per l’Italia. Il rapporto tra basket e graffiti e sempre stato speciale, ma in questo momento sembra saldo come non mai.
Sì, il basket si è sempre stato vicino all’arte urbana. Sono due mondi che si parlano e, nel caso di Truly, ha sempre fatto parte dei nostri interessi. C’è vicinanza tra i playground e l’arte urbana anche perché c’è condivisione degli spazi. Noi stessi giocavamo al campetto di giorno e disegnavamo sui muri di notte. E in Italia, anche se non sembra, quasi ogni comune ha un campo pubblico.
È l’unico sport con cui siete entrati in contatto?
Recentemente siamo andati in Francia per dipingere dei campi da tennis pubblici in collaborazione con Lacoste e la federazione francese, che spinge molto su questo punto. È un progetto in itinere, torneremo presto a farne un’altro. E visto che siamo di Torino e ci sono le ATP Finals nella nostra città, stiamo pensando a un progetto comune con uno dei main sponsor della manifestazione.
Sono 15 anni che avete aperto lo studio, ma il conteggio supera i 20 si aggiungiamo l’attività “sul campo”. Vi capita di guardarvi indietro?
Sì, soprattutto per non “perdere il filo”. Non siamo ovviamente più quelli degli inizi, anche se il nucleo è rimasto quasi lo stesso. Oggi lavorano con noi altre 15 persone, tra dipendenti e collaboratori. È il centro è sempre stata l’amicizia e la voglia di viaggiare, i perni attorno al quale ruota tutta Truly Design. E forse non abbiamo mai viaggiato e lavorato tanto come in questi ultimi tempi.
Da tempo vi siete specializzati nel 3D design e nell’anaformismo. Quanto studio c’è nel progettare un’opera del genere?
Sì, la progettazione è importante, ma l’approccio all’anamorfismo può essere molto “appiattito” se si utilizza un proiettore. Tante volte abbiamo scelto di lavorare senza questo strumento, è una nostra sfida personale. Lo è stato anche avvicinarsi a questo modo di disegnare: tutto è nato nel 2005 dopo aver visto dal vivo a Londra il dipinto The Ambassadors di Holbein, che ha fatto nascere in noi la voglia di esplorare questa possibilità. Ci interessa la fusione dell’opera rispetto al contesto: quello che disegni è connesso strettamente all’architettura, alla luce e alle ombre, fa parte di un discorso complesso.
C’è una parte di improvvisazione?
Sì. Un’opera anamorfica puoi certamente immaginartela ma non saprai mai come rende veramente dal vivo fino a quando non la hai completata. Spesso, anzi, nel 100% dei casi, la resa dal vivo è più figa, per via della luce e non solo. Per quanto puoi fare i calcoli, c’è sempre una parte imprevedibile.
E negli altri lavori, come per esempio i playground, qual è il vostro rapporto con il “fattore” improvvisazione?
Anche nei campi da basket puoi farti aiutare dalla tecnologia, per esempio con i droni. Noi non li usiamo per nostra scelta. In genere il drone arriva solo l’ultimo giorno, spesso insieme al cliente (ride, NdR). Il bello di questo filone è che non siamo ancora arrivati alla fine del tecnicismo, nel senso che c’è ancora spazio per proporre e sperimentare. E molto del merito è di Gummy Gue, che è stato il primo a dargli grande rilevanza. Lui ha interpretato benissimo il concetto, rispettando la giocabilità.
La vostra opera per il Fuorisalone, We, realizzata per Iqos, è stata molto apprezzata. Quanto è stato difficile doversi gioco forza confrontare con l’opera che questo brand aveva realizzato nel 2019 insieme ad Alex Chinneck?
Bisogna per prima cosa dire che quel lavoro è una bomba. Lo abbiamo visto nascere, perché in quell’anno realizzammo lo stand della Volkswagen che non era molto lontano. We per noi è stata una grande sfida, ma più con noi stessi: abbiamo lavorato con tempistiche che non sono le nostre, in una situazione diversa dal solito e senza fermare altri progetti di cui ci stavamo occupando. Una volta terminato, mi sono stupito del risultato, e sono contento che abbia girato tanto.
Avete una sorta di deformazione professionale quando vi capita di entrare in un luogo in cui non siete mai stati?
Sì, per noi alcuni contesti architettonici sono proprio porno (ride, NdR). Ti racconto un aneddoto: la fondazione Ettore Fico di Torino, nel 2016, ci aveva contattato per fare un lavoro nella loro caffetteria. Una volta entrati ci siamo resi conto che gli spazi del museo erano perfetti per i nostri anamorfismi. Parlando con il direttore, siamo riusciti a convincerlo a farci fare una mostra che andò veramente bene. Qualche anno dopo, l’architetto che ha progettato quello spazio, Alex Cepernich, che non sapeva avessimo tenuto una mostra alla fondazione, ci ha contattato. Ci ha chiesto di collaborare perché i nostri lavori gli piacevamo tantissimo e da lì siamo diventati molto amici.
Avete un obiettivo da realizzare?
Senza dubbio in questo momento, in cui ci stiamo dedicando tanto ai playground, ci piacerebbe poter fare un lavoro insieme a NBA, sarebbe una bella soddisfazione. Caso vuole che, qualche giorno da, ci abbia contattato una giocatrice della WNBA che vorrebbe fare un progetto con noi. Diciamo che ci siamo andati molto vicino (ride, NdR).
Truly Design su IG
Nella foto in alto: la crew di Truly Design al completo
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