L’ESTETICA DELLE CARTOLINE (BRUTTE)
Apoteosi del kitsch made in Italy, le cartoline brutte sono una ricostruzione per immagini reali ed evocate della cultura narrativa della vacanza italiana. Spedirle ancora per difendere una pratica analogica in via d’estinzione
di Giorgia Martini
Nel 2022 spedire una cartolina è un gesto che esprime totale anacronismo, estetico, perché il più delle volte le immagini sono molto brutte o molto vecchie, e concettuale, perché far sapere a qualcuno che, un paio di settimane prima, lo hai pensato e per questo hai acquistato una cartolina, appiccicato un francobollo e cercato una buca delle lettere, è assolutamente controintuitivo, rispetto all’alternativa di scattare una foto col telefono e inviarla sul momento. Nonostante ciò, trovare fra le bollette e le multe un’immagine generica piena di brillantini, con cuccioli di cane o foto di spiagge con ombrelloni colorati, che porta il nostro nome, non ci lascia indifferenti.
All’ultimo East Market c’era uno stand che vendeva cartoline, di ogni tipo, da ogni dove. La maggior parte visibilmente datate, ma intonse. Altre invece erano scritte, indirizzate a qualcuno e per qualche motivo finite in un grande cesto a un mercatino vintage. Leggerle dava la stessa sensazione che si prova quando compri un libro usato e sulla prima pagina scopri una dedica, o quando sfogli il diario di qualcuno trovato in una soffitta o pubblicato da Adelphi. Anche se per lo più si trattava di generici saluti, era come avere in mano un pezzo di vita di sconosciuti. Le cartoline viaggiate sono fotogrammi di un secolo di storia: nei saluti, negli abbracci, nei racconti più o meno dettagliati, si leggono cambiamenti culturali, usi e costumi, l’evoluzione di un immaginario collettivo.
Oggi per far sapere al mondo, o molto più realisticamente ai nostri amici, dove siamo, non serve certo passare dalle poste. Per questo forse vederci recapitare una cartolina è così inaspettato. Ma molto più che le cartoline in generale, sono quelle indubbiamente brutte a suscitare la curiosità di chi come Francesca Leonardi, ideatrice della pagina Instagram @cartolinebrutte, è affascinato da questa strana espressione della cultura nazionalpopolare, almeno degli ultimi quarant’anni. Francesca è una ricercatrice in Gestione del Patrimonio Culturale all’IMT, Scuola di Alti Studi di Lucca. «Nell’estate del 2018 ho deciso di iniziare a fotografare le cartoline più brutte sopravvissute ai social delle immagini e alle foto inviate col cellulare, perché credo che siano testimoni autentiche del nostro passato», mi ha risposto così quando le ho chiesto come le sia venuto in mente di intraprendere questo viaggio celebrativo nell’iconografia urbana più grottesca.
«Le cartoline sono uno strumento della memoria, al pari degli album fotografici, dei filmini e della loro evoluzione nella forma profilo Instagram», mi ha spiegato. Ma collezionare cartoline brutte non è soltanto un modo per raccontare di come siano cambiate nel tempo le modalità di costruire la storia iconografica della nostra vita, per Francesca è quasi un’indagine sociologica, che mostra come la rappresentazione dello svago e della vacanza, ma anche di ciò che è considerato ironico o divertente, siano cambiati nel corso del tempo. Le cartoline più brutte degli anni Novanta sfoggiano donne in bikini e continue allusioni sessuali, mentre i primi anni 2000 sono popolati da cuccioli vari e fiori disegnati. L’Italia delle cartoline brutte è un collage di luoghi comuni e stereotipi, che risultano perfettamente coerenti con l’estetica kitsch che in fondo le rende un oggetto interessante e in qualche modo un patrimonio da tutelare.
I bambini della fine degli anni Novanta sono forse gli ultimi ad aver sperimentato in modo sistematico quella strana frenesia generata dall’atto di imbucare una cartolina, attentamente selezionata dagli espositori in metallo di un qualunque negozio di souvenir in una qualunque meta turistica, senza alcuna certezza che sarebbe stata recapitata al destinatario. Con il suo viaggio nell’iconografia trash italiana, Francesca in un certo senso sta facendo resistenza culturale, difendendo un pezzo di storia scritta ma anche letteralmente da scrivere.
Trovare una cartolina fuori dalle principali mete turistiche oggi non è certo scontato (probabilmente ancora meno lo è trovare un francobollo). Proprio per questo tenere tra le mani una fotografia stampata su cartoncino, magari con dietro due righe che qualcuno ha pensato appositamente per noi dovrebbe, oggi molto più che ieri, farci sentire fautori di una narrazione collettiva, in una lotta contro la precarietà delle immagini digitali, alla ricerca della ri-materializzazione dei rapporti, che costantemente diciamo di voler riscoprire.
Articolo pubblicato su WU 116 (ottobre – novembre 2022)
Foto in alto: courtesy @cartolinebrutte
Cartoline Brutte su IG
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