CENTOMILACARIE – FASTIDIO ED EMPATIA
Un nome che rimane in mente, canzoni vogliono lasciare un segno in chi le ascolta: ecco Centomilacarie, uno dei nuovi artisti di Maciste Dischi
di Enrico S. Benincasa
Centomilacarie è il moniker scelto da Simone, 18enne milanese messo sotto contratto da Maciste Dischi l’anno scorso dopo aver sentito il suo Soundcloud. Ha realizzato tre singoli: Parlami di +, l’ultimo uscito, Strappami la pelle a morsi e Dove non posso guardare. Un nome d’arte cacofonico, a tratti respingente, scelto dall’artista «quasi per dare fastidio» ma che, come contrappeso, ha la dote di non farsi dimenticare. Messa da parte la confezione ci sono le canzoni: con quelle Centomilacarie vuole entrare in contatto con chi c’è fuori in maniera pura e irruenta allo stesso tempo. Lo scopo è cercare empatia negli altri, quelli che sono fuori dalla sua cameretta, dove scrive e registra canzoni da portare nel luogo dove si sente veramente capito: il palco.
Parlami di + è il tuo ultimo singolo: come è stato accolto?
Quando esce una nuova canzone non sono molto attratto dai numeri che fa, mi interessa molto di più l’emozione che può generare. Dopo l’uscita di Parlami di + mi hanno scritto in molti dicendomi che effetto gli ha fatto, che immagini questo pezzo ha contribuito a creare in loro. E le immagini che crea la mia musica per me sono molto importanti e scoprire che altre persone sono riuscite a entrare in contatto con esse è una cosa che mi rende molto felice. Sapere che ci sono che mi capiscono è bello. È una cosa bellissima e incredibile allo stesso tempo.
Quanto è importante creare empatia con chi ti ascolta?
Molto. Ho un carattere un po’ particolare, nonostante ci siano diverse persone accanto a me ho la tendenza a sentirmi solo. Mi capita però di affezionarmi molto alle persone e, spesso, cerco di creare empatia con qualcuno che non conosco e che non ho mai incontrato per creare un dialogo. Questa cosa mi aiuta e ceco di farla anche attraverso la musica, di cui non posso fare a meno. Quello che voglio è proprio questo: creare empatia con le canzoni e non tramite una chat di whatsapp.
Dopo questi tre pezzi ti senti meno solo?
Sì, e anche meno strano. Ho ancora tanto da fare e da sperimentare, sono ancora all’inizio. Non mi interessa a quanti arriverà la mia voce, l’importante per me è continuare a fare quello che mi piace cercando questa empatia con chi incontra una mia canzone.
Prima parlavi di immagini da creare con la musica. Quella del “buco infinito nel petto nel quale mi voglio specchiare” di Dove non posso guardare, che è protagonista anche del video, è senza dubbio molto impattante, tant’è che è stata utilizzata anche per il video del brano. Quando ti è venuta in mente?
Credo di averla concepita in treno, guardando fuori dal finestrino. Il buco nel petto è qualcosa che non esiste, ma in un certo senso ognuno ha il suo. Ha a che fare con la difficoltà di guardarsi dentro, di specchiarsi. Alle volte non te ne rendi conto, alle volte non accetti quello che vedi. L’obiettivo è averne consapevolezza e saperlo accettare, questo è quello che volevo emergesse dalla canzone.
Domanda che ti avranno già fatto ma che vale la pena rifare: perché Centomilacarie?
Mi piaceva l’idea di avere un nome che quasi desse fastidio, che per qualcuno suscitasse una specie di propensione negativa. Un nome faticoso, quasi cacofonico, ma che non ti dimentichi. Il nome comunque è un accessorio, quello che conta alla fine, sarà banale dirlo ma è così, è la musica.
Hai esordito la scorsa primavera sul palco del Miami. Come è andata?
Mi sono sentito “non in cameretta”, un posto da cui sono fortemente dipendente. Il palco del Mi Ami è stato un momento di respiro un modo per prendere ossigeno. E di questo ossigeno io ci vivo, sto bene sul palco, lì mi sento capito.
E aprire i concerti di Gazzelle questa estate? Che esperienza è stata?
Da piccolo suonavo il violino, e ai saggi mi spaventavo un po’. Mio padre, in quelle situazioni, mi ha sempre detto: «Cerca di fare una cosa bella indipendentemente dal numero di persone che hai davanti». Dal punto di vista dell’ansia, certamente ne ho avuto di più al Mi Ami, dove dal palco riconosci le facce delle persone tra il pubblico. Quando hai 20 mila persone davanti, invece, le persone sono diventano meno riconoscibili, sembrano quasi sagome e la cosa, paradossalmente, si fa più gestibile.
Hai iniziato come ci hai detto con il violino, ma ti sei poi spostato su altri strumenti che hai imparato a suonare da solo. Come sei diventato un polistrumentista autodidatta?
La scelta su come approcciare uno strumento, secondo me, dipende sempre da cosa vuoi da esso. Se vuoi essere un professionista ti servono certamente le basi, ma se vuoi solo sfogarti, dare spazio alla tua anima, ti basta anche solo avere lo strumento tra le mani. Nel mio caso è andata così_ ho provato ad andare a lezione, ma mi sono trovato in difficoltà perché sono dislessico e disgrafico e ho lasciato perdere. Poi, a un certo punto, gli strumenti mi hanno quasi chiamato e li ho ripresi in mano.
Come hanno influito la disgrafia e la dislessia sul tuo modo di fare musica?
Mi hanno portato a cercare metodi alternativi per fare quello che volevo, mi ha fatto scoprire un modo diverso di fare musica. Una volta che scrivo una cosa non me la ricordo, non sempre capisco quello che ho scritto. Per esempio tutte le cose che mi appunto, rilette giorni dopo, alle volte portano a immagini differenti rispetto a quelle che mi avevano dato all’inizio. Nell’interpretazione alle volte trovo nuovi significati.
Da dove parti quando scrivi una canzone?
Chitarra e pianoforte. Poi mi aiuto con Garageband. L’importante, in ogni caso, è l’idea. Per come funziono io, che ho picchi emotivi in cui ho bisogno di scrivere, mi serve avere qualcosa a cui appoggiarmi velocemente.
Come è nato il tuo rapporto con Maciste dischi?
È stato tutto molto casuale. Non sapevo nulla di etichette e cse discografiche, semplicmente un giorno su Instagram mi è apparso il loro profilo tra i suggeriti e ho mandato loro il link del mio Soundcloud. Lì avevo raccolto quelli che erano i miei sfoghi adolescenziali, le cose che avevo fatto con amici, pezzi che non avevano una gran cura nel mix e nei suoni. Quei pezzi che puoi trovare su Soundcloud e che sanno di tostapane, di pane bruciato. Nonostante ciò i pezzi sono piaciuti e mi hanno chiamato in un’ora.
E ora cosa state facendo? Quali sono i prossimi passi?
Ora si sta facendo musica, si sta lavorando, ci si sta divertendo. Tutto con un approccio molto easy, che è la cosa che mi rende più tranquillo.
Centomilacarie su IG
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