YAS REVEN – MAI DIRE MAI
Architetta e DJ, Manuela Mannarini aka Yas Reven non mette né limiti né paletti al futuro, in consolle e non, rimanendo fedele al suo nome d’arte
di Enrico S. Benincasa
Manuela Mannarini, in arte Yas Reven, è una dj e architetta originaria di Lecce, da qualche tempo di base a Milano. Ha cominciato con la musica giovanissima, ma è solo negli ultimi quattro anni che ha iniziato a farsi conoscere, suonando in club come il Dude e il Tempio del Futuro Perduto. Oggi divide il suo tempo tra le due professioni, cercando in entrambe le possibilità per esprimersi il più liberamente possibile. E nel futuro? Come dice sempre lei, «mai dire mai».
Da dove arriva il tuo nome d’arte?
L’ ho concepito quando avevo circa 18 anni. Un promoter voleva farmi suonare e mi aveva chiesto quale nome usare per la comunicazione: dopo una notte a pensarci ho scelto Yas Reven, che non è altro che “Never Say Never” al contrario (con un “never” in meno, NdR). “Mai dire mai” è il mio motto da sempre: sono una persona che non si arrende in nessuna circostanza, le provo tutte.
La passione per la musica te l’ha trasmessa tuo papà, giusto?
Posso dire di essere nata con le cuffie: ho ascoltato di tutto sin da piccola perché mio papà, oltre alla danza e alla radio, aveva anche la passione per il djing. Per gioco ho iniziato a 14 anni con la prima consolle e Virtual DJ, poi con i 350, che mi sembravano giganti a quel tempo. Quando ho iniziato l’università a Mendrisio, in Svizzera, ho messo un po’ da parte questa attività ma quattro anni fa, tramite un amico che aveva sentito delle mie cose, mi è stato chiesto di fare un warm up all’Osservatorio al Dude. Da lì è partito tutto, dalle esperienze al Tempio del Futuro Perduto all’ingresso in Orchid AM e alle serate fuori dall’Italia.
Sei anche una architetta. Che rapporto c’è tra questa disciplina e la musica?
In entrambi i casi c’è bisogno di armonia. L’architettura, per quanto possa sembrare libera, è molto condizionata da regole, leggi e burocrazia. Quando ho iniziato a lavorare in questo campo, non è stato semplice accettare tutti i paletti che limitano la creatività. Dopo averci pensato bene, oggi sto cercando di dedicarmi a declinazioni dell’architettura più artistiche come l’exhibition design. In generale questo tipo di formazione mi ha fatto capire come si lavora. Per il momento musica e architettura coesistono nella mia vita, in futuro chissà.
Nella musica, invece, ci sono dei limiti?
Durante un set guardo molto il pubblico e cerco di soddisfarlo il più possibile, anche se questo vuol dire uscire un po’ dai binari che volevo percorrere. Non lo considero però un limite. In generale, sono poche le volte che ho avuto la percezione di essermi espressa totalmente. Però succede, per esempio lo scorso settembre ho suonato al Renate a Berlino e ho fatto un set di tre ore in cui ero al 100% me.
Quanto l’architettura di un luogo influenza i tuoi set?
Molto: la prima cosa che faccio quando entro in una venue è cercare di capire gli spazi, le luci, l’atmosfera… Il rapporto tra architettura e musica è stato oggetto anche della mia tesi sull’architettura radicale. Quando è nato, questo movimento si occupava anche dei posti deputati alla musica, oggi questo non avviene quasi più, tanto che è difficile trovare un posto nato per la nightlife.
Oggi che rapporto hai, musicalmente parlando, con tuo papà?
Lui ha un archivio di dischi incredibile, ogni tanto prendo delle chicche e le inserisco nei miei set, ma oggi abbiamo gusti un po’ diversi. Però abbiamo lo stesso account di Bandcamp e ascoltiamo tutto quello che acquista l’altro!
Intervista pubblicata su WU 118 (febbraio – marzo 2023). La foto in alto di Versailles è di Luca Soncini, style Vittoria Brachi. Yas Reven indossa felpa Huf, pantaloni Ixos
Yas Reven su IG
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