L’ESTETICA DELLA PAURA
Il modo migliore per superare paure e fissazioni è confrontarcisi. C’è chi, per metabolizzarle, usa l’arte, creando mondi e personaggi grotteschi e disturbanti, in cui ci è permesso di ritrovarci, in un misto di fascino e orrore, anche su Instagram
di Alessandra Lanza
Instagram ha moltissimi difetti, ma sa anche essere un luogo meraviglioso, perché permette alle arti visive, e non solo, di arrivare ovunque. Non ricordo, per esempio, da quando ho cominciato a seguire Joan Cornellà (@sirjoancornella) e i suoi fumetti altamenti disturbanti, intrisi di un black humour surreale, ma nel frattempo l’artista di Barcellona ha ampiamente superato i 3 milioni di follower, aprendo la strada anche a tanti altri che come lui, tra un ban e l’altro e lo slalom tra sensibilità che con il politicamente scorretto si misurano in modo sempre diverso.
Non ricordo nemmeno come a un certo punto io abbia intercettato le opere di Joel Melrose (@moeljelly), artista autodidatta 38enne che vive e lavora in New South Wales, Australia, e che per il momento ha ancora come seguito una nicchia in espansione (7k+), ma senza social media non credo sarei mai entrata in contatto con la sua pittura e le sue sculture in cui si susseguono corpi nudi, simboli fallici, o meglio, falli veri e propri, e scene cruente in cui lo sguardo apparente- mente felice e allucinato dei protagonisti crea quel clash che li rende irresistibili.
«Mi ispiro alla vita in generale, nel bene e nel male, nel mondo e nel tempo in cui viviamo,» spiega Melrose quando gli chiedo da dove riceva l’ispirazione, e ammette di essere stato ossessionato, da bambino, dai cartoni animali e, a partire dal liceo, dal lavoro di Salvador Dalì, il primo pittore ad averlo fortemente ispirato. Ogni tanto spuntano protesi tecnologiche e riferimenti alieni e psichedelici in cui critica sociale e desiderio di evasione di fondono. Ancora mai bannato, ha avuto diversi post censurati o rimossi. «Penso sia ridicolo censurare l’arte: se non ti piace non guardarla! Mi piace Instagram come piattaforma, ma il mondo è troppo sensibile al momento, quindi sta diventando più difficile esprimersi senza paura che arrivi un divieto».
![Melrose Paura](https://wumagazine.com/wp-content/uploads/2023/05/melrose.jpg)
Una delle opere di Melrose
Nessun divieto ancora per Gregory Jacobsen, che ringrazia la piattaforma per averlo collegato con molte persone e che biasima per il sovraccarico visivo, usando Twitter come rifugio quando sente di dover nutrire il cervello in altro modo. Attratto dalle dualità, l’artista americano dipinge figure a partire da piccoli dettagli che lo ossessionano: da un rotolino di ciccia che straborda dalla cintura a tratti, scarpe e accessori prepotenti, denti, peli e appendici installati in proporzioni e posizioni sbagliate.
Nei quadri di Jacobsen la pelle, esaltata e resa repellente nella sua superficie materica, la carne umana con le sue forme e le sue parti più disgustose, la natura e i suoi colori esasperati, creano un risultato grottesco e un vocabolario di personaggi che vivono e abbracciano i loro peggiori difetti e perversioni, esprimendo emozioni sempre difficili da decifrare. Illustrare con le sue immagini le fiabe, già spaventose e crude, dei fratelli Grimm, sarebbe una scelta probabilmente azzeccata per togliere il sonno anche agli adulti. Quando gli domando come definirebbe la sua arte, risponde: «Si spera “indefinibile”», mentre quando gli chiedo chi sia a ispirarlo, risponde che da sempre guarda a Otto Dix, pittore tedesco della Neue Sachlichkeit di inizio e metà del Novecento, di cui adora la gestione della pittura e del rendering e il suo essere stato in grado di creare le immagini più brutali ma anche i ritratti più teneri, con un umorismo sempre molto oscuro.
![Jacobsen Paura](https://wumagazine.com/wp-content/uploads/2023/05/jacobsen_erupted_teratoma.jpg)
Jacobsen, ‘Erupted Teratoma’
A ispirare il lavoro di Matteo Crepaldi, in arte Devocka (@devocka____), nato a Verbania nel 1996 e attualmente fashion designer a Milano, è invece l’amore per il cinema dell’orrore, splatter e noir ereditato dal padre cinefilo, che ha estrema- mente influito sul suo percorso artistico. «Ho sempre ammirato il trucco cinematografico e questi due generi riescono a rendere al massimo la manipolazione del materiale su un corpo. Quello che faccio io, invece, è creare le fattezze di un corpo (vivo o morto) manipolando il materiale». La sua esperienza con la parasonnia (comportamenti insoliti che si manifestano appena prima di addormentarsi, durante il sonno o al risveglio) è stata, riconosce, un grande aiuto nella realizzazione delle sue opere, diventate così un arma per esorcizzare gli incubi ricorrenti che lo assillavano e che trasfigura in sculture, dipinti e performance.
Nei suoi lavori, a base di lattice liquido, vernice semi-solidificata, plastica e capelli finti, applicati spesso su di sé per trasformarsi in creature terrificanti, risuona uno dei suoi riferimenti, Francis Bacon. «Amo la malattia mentale» racconta, «perché la temo e perché è diventata una delle mie più grandi fobie. Sono ammaliato dal fascino delle deformazioni e quei volti e quei corpi contorti come la mente di Bacon mi tornano sempre alla mente quando dipingo o scolpisco». La sua arte è esplicita, ma vela la violenza che richiama, nascondendola, perché non c’è per Devocka bisogno di rappresentarla attraverso un realismo estremo. «Il realismo c’è, ma più che notarlo, lo senti. La mia intenzione è di suscitare una tale repulsione nello spettatore da ammaliarlo e indurlo a un confronto con le sue paure più intime e inconsce. Non c’è niente di meglio che combattere le proprie angosce stando al loro fianco».
Articolo pubblicato su WU 119 (aprile – maggio 2023)