LA GRANDE ASSENTE
L’Italia è rimasta una delle poche nazioni dell’Unione Europea a non avere introdotto obbligatoriamente l’educazione sessuale nelle scuole. Eppure è dal 1977 che si prova a portarla sui banchi. Come viene affrontata negli altri Paesi, quali vantaggi apporta e perché da noi fatica a farsi strada
di Elisa Zanetti
In Italia l’educazione sessuale non è obbligatoria. Nonostante i numerosi tentativi (16 dal 1977) tuttora non esiste una legge che ne abbia introdotto l’insegnamento a scuola. Eppure la sessualità è un elemento che ci caratterizza con sfumature diverse da subito. I neonati apprezzano il contatto fisico e coccolarli è importante per porre le basi di una crescita affettiva sana; tra i 2 e i 3 anni i bambini scoprono le differenze tra maschi e femmine e imparano a conoscere il proprio corpo, anche attraverso la masturbazione infantile; a 6 anni la curiosità fa fare loro le prime domande agli adulti, mentre dai 12 matura l’orientamento sessuale e possono esserci le prime esperienze legate a baci e carezze.
Nel 2010 l’OMS e il Federal Centre for Health Education (BZgA) di Colonia pubblicano Standard per l’educazione sessuale in Europa: il documento introduce un’idea di educazione olistica, che include aspetti cognitivi, emotivi, sociali, relazionali e fisici. L’educazione sessuale deve essere uno strumento di empowerment, che accompagna sin dalla scuola dell’infanzia, fornendo informazioni scientifiche e valori positivi per proteggere la salute e vivere serenamente la vita sessuale, nel rispetto di tutti. La situazione attuale in Europa è varia e il rapporto del 2020 Sexuality Education across the European Union: an overview della European Commission aiuta a orientarsi. La non obbligatorietà dell’insegnamento riguarda anche Croazia, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria e Lituania. La Svezia è stata il primo Paese a renderla obbligatoria nel 1955 e dagli anni Settanta molti Paesi dell’Europa occidentale l’hanno seguita. Nei primi Duemila è stata la volta di Francia e Regno Unito, poi di Spagna e Portogallo. Nel 2003 anche l’Irlanda, dove l’opposizione religiosa è forte, l’ha introdotta.
Il fatto che tendenzialmente nell’Unione si parli dell’argomento non significa che vi sia uniformità. Basta guardare a che età viene proposto l’insegnamento: si va dai 5 anni di Olanda e Portogallo sino ai 14 di Italia e Cipro. Tra i suggerimenti per una buona educazione sessuale le organizzazioni internazionali propongono un approccio cross-curriculare, che esplori i diversi volti della sessualità e non sia limitato a informazioni biologiche o ai rischi per la salute. La maggior parte dei Paesi offre approfondimenti su temi come amore e relazioni, ma con differenze significative. Un esempio: in Slovacchia si parla di Educazione per il matrimonio e la partnership, mentre in Danimarca si spazia tra diversi tipi di relazione. In alcuni Paesi si affrontano anche ruoli di genere e stereotipi, mutuo consenso, questioni legate alla comunità LGBTQ+ e rapporto tra media e sesso. Eppure tutte queste tematiche dovrebbero trovare sempre posto fra i banchi di scuola, a ribadirlo è an- che l’International technical guidance on sexuality education del 2018, a firma Unesco. Il documento suggerisce una prospettiva ampia ed evidenzia otto concetti chiave: relazioni; valori, diritti, cultura e sessualità; comprensione del genere; violenza e incolumità; salute e benessere; corpo umano e sviluppo; sessualità e comportamenti sessuali; salute riproduttiva.
Che cosa blocca Paesi come il nostro dall’intraprendere un percorso che nell’Unione è partito da più di mezzo secolo? Tra le paure più diffuse troviamo l’avvio precoce della vita sessuale, la perdita di innocenza dei bambini e possibili contrasti con la religione. L’Unesco risponde però indicando i vantaggi di un insegnamento precoce, capace di tardare e rendere più consapevoli i rapporti e di proteggere i bambini da messaggi non filtrati che possono ricevere dall’esterno, fornendo un’educazione adeguata all’età. Per ciò che riguarda i rapporti con cultura e religione, l’Unesco sottolinea l’importanza di adattarsi al contesto, favo- rendo il dialogo con le parti coinvolte.
«In Italia l’iniziativa è lasciata alle scuole che provano a sopperire a questa lacuna del sistema scolastico, ma la situazione è eterogenea e non sempre adeguata – commenta Antonella Dentamaro, vicepresidente di AIED, associazione da 70 anni attiva sul tema – introdurre l’educazione sessuale darebbe risposta alle richieste dei giovani e una spinta qualitativa a questo insegnamento, che richiede una corretta formazione di chi se ne occupa». Il non voler affrontare il problema lascia le future generazioni senza preziosi strumenti per gestire una sfera impor- tante della personalità. Il problema, poi, è anche connesso alla sfera della salute: un’indagine del 2022 di Durex e Skuola.net rivela che in Italia le prime esperienze sono sempre più precoci (intorno ai 15 anni per il 34% dei giovani) e che meno di un giovane su due usa il preservativo. Speriamo che al prossimo appello sull’edu- cazione sessuale anche l’Italia possa rispondere a gran voce: “Presente!”.
Articolo pubblicato su WU 119 (aprile – maggio 2023)
Nella pagina a fianco: foto di Dainis Graveris da Pexels
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