JACOPO FARINA – UN NUOVO CAPITOLO
Il regista milanese, dopo una lunga esperienza nel mondo dei videoclip e dei documentari brevi, sta percorrendo nuove strade artistiche insieme a vecchi e nuovi amici. E, per il futuro, le idee non gli mancano di certo
di Alessandra Lanza
L’ultima volta che abbiamo intervistato Jacopo Farina era il 2017 (qui), partendo dal videoclip realizzato per Le voci di Cosmo, primo lavoro da solista dopo anni dentro il duo creativo Sterven Jonger. Il regista milanese lo definì uno “spartiacque”. Ora Jacopo Farina ci racconta Antipop, il docu-film sull’artista di Ivrea (ora su Mubi) a cui ha lavorato negli ultimi tre anni, cucendo il materiale raccolto negli ultimi otto e l’archivio di ricordi del protagonista nel ritratto di una scena radicata nella provincia italiana, unica e, proprio per questo, per certi versi universale. Quella di Cosmo è la voce narrante, attorno a cui ruotano, come pianeti e satelliti, la famiglia e gli amici di sempre, testimoni di un successo che avrebbe anche potuto non realizzarsi, e che arriva insperato nel momento di quella che per lui avrebbe potuto essere “L’ultima festa”.
Ti eri ripromesso di fare un film entro i 40 anni. È uscito poche settimane prima del tuo compleanno. Questo è un nuovo spartiacque?Sì, enorme. È il mio primo film, dopo anni di fotografia, videoclip e poi documentari. Lo è a livello tecnico: durante la pandemia ho studiato molto su come si scrive una storia. Un videoclip di quattro minuti può reggersi solo sull’estetica, non un film. Ogni regista fa un patto con lo spettatore: questo gli dà la cosa più preziosa che ha, il tempo, per dimenticare in cambio la propria vita per un attimo. L’autrice Marianna Schivardi mi ha aiutato a entrare ulteriormente nelle dinamiche narrative di Antipop, la cui costruzione tocca in modo capillare tanti argomenti, compresa la morte, e fa sì che arrivi a tutti: che tu sia di destra, sinistra, vecchio, giovane, mia zia, un intellettuale, un cinefilo, il mio custode, il netturbino. Riuscire a far emozionare è un superpotere del cinema, non sempre ci riesce. In questo caso sembra funzioni: in molti mi hanno detto di essersi emozionati. Oltre ad aver scoperto qualcosa di ancora inedito su Cosmo, anche per gli amici intimi.
Hai iniziato a raccogliere materiale su Cosmo otto anni fa. Quando hai capito che sarebbe diventato un film?
All’inizio non era l’obiettivo, semplicemente sapevo di aver intercettato una situazione che valeva la pena seguire, cosa che ho fatto anche per superare un periodo di crisi personale. Non immaginavo sarebbe andata così, ma il risultato mi soddisfa e non avrei fatto nulla di diverso. La cosa che mi piace di più di questo film è che non è centrato solo su Cosmo e la sua musica e si distacca dalla parabola del successo di un singolo per narrare storie universali, a partire da quelle dei suoi genitori. Cosmo ha una personalità prorompente, che catalizza le energie degli altri. Se togliessi tutte le persone che gravitano intorno a lui, toglieresti tutti questi influssi ed energia da cui viene la sua musica. Sono stanco e annoiato dai racconti di glorificazione della media dei film musicali italiani. Come spiega Taleb ne Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, è dimostrato che il talento esiste, ma arrivano a raccontare il proprio successo solo coloro che hanno la fortuna di ottenerlo. Volevamo evitare questa narrazione.
Quando conta nel risultato il tuo essere un borghese di Milano e la sua appartenenza a una famiglia operaia di provincia? Com’è riuscito il match?
Come personalità, in realtà, siamo persone distanti e non credo ci capiamo in pieno per questi background così diversi. Abbiamo scoperto però un match tra il mio lavoro e la sua musica, che mi è sempre piaciuta molto perché ci trovo onestà e purezza di comunicazione, qualcosa che anche io ho nel mio modo di fare senza troppi filtri. Se il talento è la capacità di affrontare ciò che ci disturba, io lo faccio molto, cercando di andare sempre oltre, come fa lui con la musica, andando a fondo. Io poi ho una visione antropologica della provincia, e forse posso individuare qualcosa che lui dall’interno non può vedere. Abbiamo avuto diversi scontri dal punto di vista lavorativo, ma sono sempre stati utili a raggiungere il risultato finale. Devo a Cosmo, e per questo lo ringrazierò sempre, il fatto di avermi dato tutto e non aver mai tentato di modificare le mie scelte, nonostante a volte non le abbia capite del tutto.
A un certo punto della tua carriera hai abbandonato il videoclip: come mai?
A 34 anni ho avuto una piccola crisi personale e di natura fisica, stavo crescendo e sentivo che il flow energetico del videoclip non era più la spinta adatta. Mi era anche andata bene: ho lavorato con un sacco di musica che mi piaceva, è difficile fare qualcosa di bello su qualcosa che non ti piace. Le scene musicali in cui ero cresciuto però a un certo punto non esistevano più, la trap non mi interessava, i video delle canzoni hanno iniziato a girare molto meno. Avrei potuto continuare, ma sentivo di dover investire in qualcosa di più grande. Provare a fare un film, altrimenti l’avrei rimpianto per sempre. Quindi ho ipotecato il mio tempo. Nel frattempo ho conosciuto Fondazione Prada e ho cominciato a fare per loro piccoli documentari: credo sia una piccola roccaforte della cultura, al cui interno, se vieni scelto, ricevi molta fiducia e puoi esprimerti al massimo.
Com’è nata invece South TV, il progetto antropologico e psichedelico sul sud Italia insieme al fotografo Piero Percoco?
Nel 2023 ho sentito il bisogno di cercare una nuova famiglia ed è successo con Piero. Ci siamo conosciuti grazie ad Angelo Milano a un Chiasmo festival: a lui piacevano molto i miei videoclip, a me le sue foto. Un giorno gli ho scritto su Instagram e gli ho chiesto: perché non facciamo qualcosa insieme? Lui ha risposto: «South TV!». Sono sceso in Puglia da lui, a Sannicandro di Bari, con l’idea di trasformare in video l’immaginario che avevo visto nelle sue immagini super pop. Entrambi siamo psiconauti, e abbiamo un estetica Millennial: la nostra piccola TV psichedelica sul Sud Italia è nata così. Ora ci piacerebbe mettere insieme tutto il materiale raccolto, musicato da Riccardo Valle, in una dimensione più lunga: abbiamo un potenziale narratore come trait d’union, l’attore Francesco Longo, ma dobbiamo ancora capire come, ci lavoreremo nei prossimi mesi. Ora che conosco i periodi di latenza che servono tra ricerca e scrittura, so che sarà meglio lavorare a più progetti in parallelo.
Hai già qualcosa in mente?
Fare un film è rischioso, pensa se non lo fai bello! In questo caso ho fatto un film autoriale, a cui la presenza di Cosmo e della sua musica garantiscono una certa fruibilità e una certa attenzione. Sarà un buon biglietto da visita. So che ho potenzialità: so fare la direzione della fotografia, so scrivere, so girare. In futuro mi piacerebbe costruire un piccolo gruppo che abbia una visione per creare qualcosa di interessante e fuori dagli schemi come Antipop, ma con un arco di tempo maggiore. Vorrei raccontare l’Ultimo Impero (iconica discoteca in provincia di Torino, simbolo degli anni Novanta e oggi abbandonata, NdR) e provare a scrivere qualcosa da zero, totalmente di fiction.
L’intervista a Jacopo Farina è stata pubblicata su WU 124 (febbraio 2023)
Nella foto in alto: Jacopo Farina, foto di Piero Baroni
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