AURORO BOREALO – MILLENIAL BUG
Difficile trovare una definizione unica per raccontarlo, come succede per molti (early) Millennials che lavorano in ambito artistico e dell’intrattenimento. Quindi abbiamo chiesto a lui di spiegarci cos’è diventato da grande
di Alessandra Lanza
Se non avesse incontrato Milano e il punk, vent’anni fa, probabilmente sarebbe diventato quello che sognava la madre: un diplomatico internazionale. E invece nel 2017 Francesco Roggero è diventato Auroro Borealo. Fondatore dell’etichetta Talento, di pagine Instagram come Libri Brutti (ora anche podcast di successo) e Orrore a 33 giri, intrattenitore sopra e fuori dal palco con serate dal sapore millennial come quella della Stupidera, alla soglia dei 40 anni (a ottobre, «lo stesso giorno di John Lennon, ma senza talento»), cosa metterebbe in CV? «Dovrei scrivere performer e creator. Dopo lo stage diving, la cosa che credo di essere più bravo a fare è l’host: presentare, raccontare, divulgare e interagire con altre persone di fronte a una camera. Mi sento un po’ il Fabio Fazio della roba weird. Anche se sul mio epitaffio ci sarà scritto: “Caricò 10 minuti di fettine panate su YouTube”».
Milano offre spunti e contatti. Cosa ti hanno lasciato le tue vite precedenti che hai passato tra Brescia e Foligno?
Trasferirmi da Brescia a una piccola città dell’Umbria a 14 anni mi ha dato la flessibilità per adattarmi ovunque ed essere autosufficiente, il vero DYI. Nessuna delle cose che ho fatto è figlia di Milano. Libri Brutti nasce nei mercatini; Orrore a 33 giri e la passione per la musica assurda su Internet – già al liceo facevo musica brutta. Milano offre tante situazioni, stati d’animo, qualcosa da fare ogni sera, compresa la scelta di restare a casa. Come tutti sono “piena rasa”, se non fosse per la mia rete di affetti me ne andrei. Mi ha dato la consapevolezza che per certe cose non c’è bisogno della grandi città, la tua città sei tu e te la porti dentro.
Qual è il target di Auroro Borealo?
Non l’ho mai capito. I dati dei miei social dicono che la fascia maggioritaria è quella 25-34, al 66% donne, forse perché l’editoria in Italia è donna. Sulla musica si alza l’età e aumentano gli uomini. Agli eventi di Talento siamo fricchettoni e weirdo di ogni età. Alla Stupidera, serata in cui metto musica insieme a due ballerini che non fanno i ballerini, sono soprattutto donne. La costante di tutto quello che faccio dal vivo è la presa bene: non c’è niente da dover dimostrare, tutto è accettato, ed è talmente weirdo che diventa normale.
Secondo me c’è, ma è molto fluida e Millennial. Che cosa vogliono i Millennial oggi?
Semplicemente la possibilità di fare le cose che facevano le generazioni precedenti. Non dico comprarsi una casa, ma almeno avere una vita dignitosa senza doversi ammazzare di lavoro. Non essendo possibile, le opportunità di svago diventano aria pura. Un intrattenimento più sereno, senza lo sballo a tutti i costi: non abbiamo più vent’anni, se dobbiamo uscire, che già i soldi sono pochi, vogliamo non avere menate. Fare intrattenimento – spesso gli artisti se lo dimenticano – se c’è etica, è già un atto politico, soprattutto in questo momento.
E poi c’è quell’altro male della nostra generazione: la sindrome dell’impostore.
La cosa che dovremmo fare tutti è riconoscere in cosa siamo bravi e in cosa non lo siamo. Già a 20 anni mi sentivo un operaio del rock’n’roll: l’unica cosa che so fare bene sono le canzoni punk e quindi faccio quelle, le altre, visto che faccio schifo, le lascio scrivere a qualcun altro. La sindrome dell’impostore nasce perché ti obbligano – o tu ti obblighi – a fare una cosa che sai di non saper fare. La vera accettazione di sé non è dire “ho dei problemi, sono malato”, ma “io so fare questo, non quest’altro”. Se tutti lo avessimo chiaro avremmo uno stato di salute migliore dell’arte, della cultura, e anche della società.
Speravi di vivere di questo?
Non mi sono mai immaginato sul palco del Forum, mettiamola così. Mi è sempre interessato “fare”. Un po’ di ego devi averlo, ma per me conta di più la volontà di condividere le figate che scopro. Quando sono uscito dall’università il posto fisso era importante, sia per me che per i miei. Per anni ho giustificato il lavoro dipendente dicendomi che così il resto sarebbe rimasto un hobby, lasciandomi libero. Il “vorrei vivere di questo” l’ho sviluppato un po’ tardi, nel momento in cui la curva mi ha permesso di lasciare il capo che mi trattava male.
Quanto coincidono oggi Auroro e Francesco?
Se all’inizio facevo un po’ il personaggio, da quando faccio divulgazione i campi si sono sovrapposti. Primo perché Auroro è un nome troppo figo, anche mia mamma mi chiama così. Secondo perché sono cresciuto: dopo il lockdown ho trovato la mia leggerezza e riscoperto la passione per Jannacci, in grado di dire cose pesantissime nascondendole in mezzo ad altre assurde. Oggi Auroro e Francesco sono una persona sola, senza distinzioni lavorative o di intenti… Alla fine il nome è irrilevante; ma se fa ridere e viene ricordato, tanto vale tenerlo.
Oltre a tutto quello che già fai, cosa succede nel 2024?
Faccio un musical, al Mi Ami. Vorrei tantissimo avere un programma di interviste, ci sto lavorando. Nel mondo, invece, capiremo se riusciamo a salvarci o se siamo spacciati.
Se scopriamo di essere spacciati cosa fai?
Continuo fino all’ultimo a fare i reel in cui racconto di storie di dischi che nessun altro conosce e trovo libri bellissimi. Sto facendo la vita che voglio fare e quindi continuo. Ecco, magari cercherò di trattare un po’ meglio mia mamma, dovremmo farlo tutti.
L’intervista di Auroro Borealo è stata pubblicata su WU 125 (aprile 2023)
Nella foto in alto Auroro Borealo
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