SHEPARD FAIREY – 35 ANNI DI DIY
Inaugura a Milano ‘Obey: the art of Shepard Fairey’, la nuova personale italiana dedicata all’artista americano alla Fabbrica del Vapore
di Enrico S. Benincasa
Tutto è pronto per Obey: the Art of Shepard Fairey, la mostra dedicata al celebre artista americano che, dal 16 maggio al 27 ottobre sarà ospitata alla Fabbrica del Vapore a Milano. Sono oltre 70 le opere di Shepard Fairey presenti, divise in cinque sezioni tematiche – propaganda, pace e giustizia, ambiente, musica e nuove opere – in un allestimento che lascia però al visitatore la possibilità di perdersi tra le creazioni dell’artista nativo di Charleston, South Carolina, che proprio quest’anno festeggia i 35 anni di attività. Il progetto, oltre alla mostra, ha previsto anche una residenza artistica che si è concretizzata nella realizzazione del primo murale di Fairey in città, in via Consolini nel quartiere Gallaratese (inaugurazione il 22 maggio aperta a tutti). La storia di questo artista con la città, iniziata nel 2005 con la partecipazione a Urban Edge Show, evento che fece più che una fotografia alla scena della street art mondiale dell’epoca e che lo stesso artista ha ricordato durante la conferenza di presentazione, trova così una nuova espressione artistica fisica destinata a durare nel tempo. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Shepard Fairey a margine della conferenza, e gli abbiamo consiglio su come approcciarsi alle sue opere negli ampi spazi della Fabbrica del Vapore.
Giuseppe Pizzuto di Wunderkammern, uno degli “artefici” di questa mostra insieme al Gruppo Deodato, al Comune di Milano e alla stessa Fabbrica del Vapore, ha appena detto in conferenza stampa che il miglior modo per visitarla e perdersi dentro di essa. Sei d’accordo con questa visione?
Sì, perché penso che approcciarsi a un evento del genere non debba essere per forza “matematico”, preferisco essere più esplorativo. Quando compro un libro di arte, per esempio, sfoglio le pagine randomicamente per cercare qualcosa che mi ispiri, solo in un secondo momento seguo un ordine cronologico. Mi piace l’idea che ogni visitatore possa rapportarsi in maniera personale con quello che vede. Ci sono nelle mie opere diversi temi e immagini che sono ricorrenti e, anche in quelle più recenti, penso si possano cogliere gli elementi principali e il modo in cui stanno assieme.
È molto importante per te che questo si colga?
Sì, la connessione tra la mia storia e le mie idee e la sua progressione e l’evoluzione nel corso del tempo sono aspetti importanti. Argomenti come il cambiamento climatico, gli attacchi alla democrazia, il peso delle compagnie petrolifere sono senz’altro contemporanei, ma sono nel dibattito pubblico avanti da anni e come essere umani siamo specializzati nel riproporre ciclicamente gli stessi errori (ride, NdR). Anche se mi occupo di cose di oggi, come per esempio la guerra in Ucraina o la situazione in Palestina, penso sia presente una connessione con la mia storia e con fatti su cui mi sono esposto, come gli interventi militari in Iraq o Afghanistan.
Hai sempre sostenuto che lo skateboarding e il punk rock sono stati per te un punto di riferimento sin dagli esordi, ambiti grazie ai quali l’approccio DIY si è forgiato e si è diffuso. Oggi trovi ancora che il DIY sia rilevante tra i giovani artisti?
Sì, penso lo sia ancora. In molti di loro ritrovo ancora questo spirito, anche se adattato ai tempi perché usano sì ancora le fotocopiatrici, ma anche gli strumenti digitali. I giovani creativi di oggi hanno tanti strumenti a disposizione per esprimersi e molti di loro, anche se con poca esperienza alle spalle, sono in grado di fare cose molto complesse. Certo, non vale per tutti: per alcuni avere a disposizione una moltitudine di opzioni può essere deleterio, per altri invece è una grande opportunità.
Il giovane Shepard Fairey oggi, diciamo appena compiuti 19 anni, come darebbe sfogo al suo estro creativo?
Sicuramente farei T-shirt home made e stampe, cose fisiche insomma, ma probabilmente farei anche dei video combinando musica, vecchi filmati e nuovo materiale, dando così sfogo al mio amore per il collage e per il remix.
Che differenza c’è, secondo te, tra come i giovani di oggi si avvicinano alla tua produzione artistica rispetto a come lo hanno fatto le generazioni precedenti che, nel corso degli anni, sono cresciute con le tue opere?
Spero che ogni persona giovane che si approccia alla mia arte sia in grado di percepire in essa l’idealismo giovanile che è presente in essa. Quando ho iniziato, era facile percepirmi come un artista underground, oggi qualcuno potrebbe vedermi anche come parte dell’establishment, senza considerare tutto il percorso fatto per arrivare a questo punto. Riproporre elementi visivi distintivi e tematiche di un certo tipo, però, penso sia qualcosa che possa favorire la connessione con persone di ogni età.
Cosa pensi di chi, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul cambiamento climatico, usa come bersaglio l’arte e i musei?
Le proteste per sensibilizzare le persone circa il cambiamento climatico sono importanti, ma attaccare musei non ha molto senso quando i veri nemici sono le big company del petrolio, per esempio. Mi sembra un modo strano per sottolineare la cosa quando potresti farlo in una maniera più diretta. Non sono arrabbiato con loro, penso solo che dovrebbero riflettere su come protestare.
La musica è parte integrante della tua vita e della tua produzione. Non smetti mai di ricordare come tanti artisti ti abbiano influenzato e molti di loro sono protagonisti nelle tue opere. Pensi che oggi ci sia meno interesse da parte della scena musicale di affrontare temi sociali e politici?
Ci sono tanti artisti che hanno unito arte e impegno sociale, mi vengono in mente Public Enemy, The Clash, i Dead Kennedys, I Rage Against The Machine, forse l’ultima band in grado di raggiungere audience mondiali a inserire un forte messaggio sociale e politico nella loro musica. Tra gli artisti di oggi ce ne sono alcuni che lo fanno almeno in parte, mi viene in mente Kendrick Lamar, che ha inserito messaggi sociali forti nei suoi testi. Mi piacerebbe vedere band e artisti più giovani farlo, è una cosa che manca in questo momento.
Nella foto in alto: Shepard Fairey, foto di Jeffrey Rovner
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Enrico S. Benincasa
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