QUANDO SI LASCIA LA FAMIGLIA
Che cosa succede quando si decide di non avere più contatti con i propri cari? Parlarne è spesso un tabù e nella nostra lingua non c’è ancora una definizione per individuare questo fenomeno, eppure il family estrangement riguarda anche noi
di Elisa Zanetti
Blood is thicker than water (il sangue è più denso dell’acqua) recita un proverbio inglese che sottolinea il maggiore peso dei legami familiari rispetto alle altre relazioni. E forse è proprio per questo che questi rapporti vengono guardati e gestiti in modo diverso rispetto agli altri, anche quando fanno soffrire. Un genitore non si lascia come si potrebbe lasciare un partner, con un fratello non si smette di parlare come con un amico con cui si ha litigato e così via. Eppure allontanamenti e separazioni avvengono anche all’interno del nucleo familiare. “Family estrangement”: occorre fare ricorso alla lingua inglese per definire un fenomeno che, attualmente, non trova corrispondenza nella lingua italiana se non nella sua traduzione letterale, “estraniamento familiare”. Una traduzione che può suonare incompleta per quello che è considerato un argomento tabù in diverse culture.
Secondo la definizione di Kristina Scharp, direttrice del Family Communication and Relationships Lab alla Rutgers University, il family estrangement è il distanziamento intenzionale tra almeno due membri della famiglia a causa di una relazione negativa o della percezione di una relazione negativa. «Da noi non si parla ancora di questi temi, l’Italia è culturalmente un Paese definito “a legami forti” e la famiglia di origine è considerata anche un sistema di welfare», spiega Carlo Trionfi, psicoterapeuta e direttore del Centro Studi Famiglia di Milano. «Il family estrangement non è ancora individuato come una tipologia problematica, però è un fenomeno che riconosco in alcuni pazienti, solitamente rispetto a uno dei due genitori».
Le cause che possono portare a chiudere i rapporti variano molto, ma fra le più comuni si trovano traumi o abusi, il rifiuto di scelte di vita, la separazione dei genitori e questioni economiche. «Nella mia esperienza quando si verifica una cesura c’è sempre un vissuto di danno, fisico o psicologico, qualcosa che impedisce di crescere», prosegue Trionfi, «l’interruzione del rapporto con chi avrebbe dovuto garantire la sopravvivenza diventa l’unico modo per andare avanti, questo ovviamente lascia dei segni e la possibilità di elaborazione è più facile se in qualche misura è possibile riconoscere al genitore qualcosa di buono, che ci permetta di salvare, anche solo a livello di fantasia, “una fotografia”, qualcosa che consenta di ricordare le nostre origini: vivere senza origini è molto complicato».
Chiudere i rapporti con un familiare stretto non è mai una cosa facile e chi lo fa spesso fatica a trovare supporto o si vergogna a parlarne per paura di essere giudicato. «A 23 anni ho interrotto per la prima volta i rapporti con mia sorella, mentre la chiusura definitiva c’è stata pochi mesi fa», spiega Matteo, 42 anni, educatore. «Comprendo che da fuori sia una scelta difficile da capire: i primi a opporsi sono stati i miei genitori e in generale tutti trovano la mia scelta inconcepibile per il semplice fatto che si tratta di mia sorella, eppure siamo come estranei e ora che non abbiamo più alcun contatto sto molto meglio».
Nata nel 2012, l’associazione britannica no profit Stand Alone ha come obiettivo l’abbattimento dello stigma che circonda il family estrangement e supporta chi vive questa condizione. Sul suo sito si trovano guide per affrontare l’allontanamento (sia che lo si attui, sia che lo si subisca) e momenti delicati come le festività, così come workshop e gruppi di supporto online per confrontarsi con chi vive situazioni simili. Together Estranged è invece un’organizzazione no profit con base negli USA, fondata da Seth Forbes, persona autistica e appartenente alla comunità LGBTQ+ che a 13 anni ha avviato il suo percorso di allontanamento. Gli incontri virtuali permettono all’associazione di offrire supporto in tutto il mondo, mentre le collaborazioni con le università aiutano gli studenti che hanno chiuso con le famiglie.
Alexandra ha 34 anni: a 14 ha iniziato a capire che qualcosa non andava nella sua famiglia e a 19 se ne è andata di casa. Originaria dell’Est Europa, ha vissuto in Marocco, Lettonia, Estonia, Italia e Spagna confrontandosi con diverse culture. «In Italia il tema della famiglia è particolarmente forte. È difficile dire di non avere più rapporti, ci si trova sempre a doversi giustificare per qualcosa che non andrebbe giustificato come per esempio la violenza». Per dare supporto a persone che hanno vissuto situazioni simili alla sua Alexandra ha creato la pagina Instagram tantotanto.me dove chi ha subito traumi infantili o avuto a che fare con genitori disfunzionali può trovare conforto. «Oggi non mi pesa più raccontare la mia storia, ho fatto un lungo percorso con lo psicologo e ne parlo sulla pagina, so cosa ho subito, ma chi non ha ancora acquisito consapevolezza può sentirsi sbagliato e mettersi in discussione davanti ai commenti di chi non contempla la possibilità di un allontanamento». Se è vero che in Italia non si sente parlare di family estrangement e ancora non abbiamo una definizione per il fenomeno, fare in modo che argomenti come questi non siano tabù e ascoltare con sensibilità è il primo passo per aiutare chi vive questa condizione.
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