‘MEMORIE DEL TRANSITARE’ DI GRACE MARTELLA
Tra le vincitrici della XII edizione del Premio Luigi Ghirri, Grace Martella porta al Festival di Fotografia Europea un progetto sull’identità, un’indagine visiva, poetica e politica in cui la bellezza è anche strumento di assimilazione. «Pur riconoscendo la specificità di qualsiasi percorso di affermazione di genere e, in generale, di autodeterminazione, mi piacerebbe che altre persone potessero riconoscersi: ritrovare se stessi in qualsiasi tipo di lavoro, che sia fotografico, letterario, musicale, è utile per resistere al senso di isolamento che troppo spesso si avverte»
di Alessandra Lanza
Quando è nato Memorie del transitare, e da quale esigenza?
È nato circa due anni fa dall’esigenza di interpretare in modo personale il percorso di affermazione di genere che avevo cominciato ad affrontare. Da un lato mi sentivo spesso sola e non riuscivo a far fronte alla transfobia che avevo inconsapevolmente interiorizzato; dall’altro avvertivo frustrazione di fronte a narrazioni in cui non riuscivo a riconoscermi e che secondo me non restituivano la complessità di quello che stavo attraversando. L’esigenza principale dunque era, ed è, quella di approcciarmi alla mia identità di genere ricomprendendo la sua complessità come possibilità di osservare il mondo da una prospettiva diversa.
Come è cambiato il rapporto con il tuo corpo attraverso l’obiettivo fotografico?
Parte della mia riflessione fotografica in realtà riguarda, seppur non in maniera evidente, la bellezza intesa come strumento di assimilazione. Il rapporto con il mio corpo in questo senso non è cambiato, mi sento ancora spesso a disagio quando sono di fronte all’obiettivo, però rispetto a prima cerco di vivere questo disagio e soprattutto di renderlo visibile. Infatti sto lavorando a immagini in cui stabilisco un rapporto con la fotocamera che è visibilmente conflittuale e di “sfida”.
Mi puoi spiegare meglio cosa intendi quando parli del tuo corpo come “carne e concetto”?
Nella sequenza del progetto il mio corpo nello specifico è a tratti estremamente tangibile e a tratti totalmente sublimato. Spesso ci sono immagini di frammenti di corpi che non sono necessariamente il mio, ma con i quali mi identifico, un po’ come se fossero delle proiezioni di me stessa sugli altri e allo stesso tempo proiezioni degli altri su di me. Questa ambiguità risponde al bisogno di non rendere intellegibile il mio corpo in quanto non conforme, e riflettere su come il corpo in generale si determini biologicamente e socialmente.
Che significato attribuisci al concetto di “transitare” oggi, sia come esperienza personale, sia come atto politico o poetico?
“Transitare” per me significa sentirsi parte di un movimento a partire dalla peristalsi degli organi fino all’oscillazione delle particelle elementari, rivendicando l’indeterminatezza, l’ambiguità e l’effimero come spazi di possibilità. Significa opporsi a chi disegna un cerchio sempre più stretto intorno a ciò che non riesce a comprendere del tutto o in parte.
Cosa speri che il pubblico porti con sé dopo aver attraversato le tue immagini?
Spero che porti con sé una sensazione di vuoto d’aria, di sospensione – tipica di una turbolenza – data dalla mancanza di punti di riferimento specifici nelle immagini. Spero che percepisca la complessità del racconto, portando con sé tutte quelle domande a cui le immagini e le poesie non necessariamente rispondono.
GRACE MARTELLA Nasce a Lecce nel 2006 e si approccia alla fotografia a partire dal 2018. La sua ricerca fotografica è una continua indagine intorno a identità, temporalità, territorio e al modo in cui questi elementi interagiscono con l’esperienza transgender e la sua rappresentazione (IG)
Articolo pubblicato su WU 132 (giugno 2024)
Tutte le foto nella pagina sono di Grace Martella