CRIPSTA – MITI, OMBRE E COLORI
Da Cabiate, in provincia di Como, guarda al Mediterraneo e al suo immaginario tramutandolo in illustrazioni e grafiche che sono state scelte da Boiler Room e da diversi festival musicali, ultimo dei quali il Mi Ami. Ora a Milano, collabora con riviste come GQ, Icon e Wired, ma è a Londra che vorrebbe tornare…
di Alessandra Lanza
Il suo nome d’arte è Cripsta. Nessun riferimento a hipster, «è un gioco di parole nato al liceo tra il mio cognome e la marca di palloni da basket con cui giocavamo al campetto». Alessandro Crippa, nato nel 1990 e cresciuto in provincia di Como, a Cabiate, ha sempre avuto due passioni: la pallacanestro, appunto, e il disegno. «All’epoca mi interessava la street art, dipingevo sui muri», racconta. «Non so perché decisi di iscrivermi al liceo scientifico invece che all’artistico». Il triennio di studi in grafica e art direction alla NABA di Milano l’ha aiutato a individuare la su vera vocazione, quella dell’illustratore, mentre il master al Camberwell College of Arts a Londra gli ha permesso di delineare un’identità che risulta oggi peculiare. Cripsta rappresenta volti, maschere antiche, elementi naturali, creature e oggetti ispirati alla mitologia di quelle civiltà di cui il Mediterraneo è stato la culla, ed è in grado di conciliare, con colori accesi e ombre dalle trame geometriche, riferimenti antichi e linguaggio presente. «A distinguermi – dice – credo siano state proprio le ombre. All’inizio lavoravo infatti solo in bianco e nero, poi ho introdotto i colori per staccare figure e sfondo e ho cercato di sviluppare un approccio grafico più legato all’illustrazione di tipo naturalistico e scientifico».
Le tue ispirazioni, di tipo surrealista e metafisico, sono consapevoli?
De Chirico è uno dei miei massimi riferimenti, anche a livello concettuale e di poetica. Cerco di ricreare nei miei lavori le sue atmosfere sospese, come se nelle immagini non ci fosse tempo. Mi ispiro poi a cose completamente diverse, come la pittura astratta o il post graffitismo, e anche a discipline differenti. Prendo soprattutto dal cinema: amo Takeshi Kitano, David Lynch, Jim Jarmusch, i film molto lenti, con pochi dialoghi ma composizioni potenti a livello visivo. Ci vuole tempo perché le cose sedimentino in me, per poi poterle analizzare e inserirle nella mia ricerca.
Nelle tue opere crei mondi lontani nel tempo e nello spazio: ti piace viaggiare?
Sì, avere vissuto in Inghilterra mi ha segnato, vorrei presto tornarci. L’idea del viaggio è molto importante per me e credo che vedere posti e realtà nuove sia fondamentale per il mio lavoro. Dopo il master a Londra sono tornato a Milano per recuperare i contatti con il collettivo che avevo fondato all’università, Turbosafary; in breve tempo ho cominciato a lavorare qui come freelance, portando intanto avanti le mie ricerche, ma trascorsi tre anni sento di nuovo la necessità di trasferirmi. Non ho vincoli, perché rimanere?
Tra i tuoi ultimi lavori ci sono le immagini per il festival Mi Ami, che verte a sua volta sul tema del viaggio. Che parte ha la musica nel lavoro di Cripsta?
Come illustratore ho cominciato a lavorare soprattutto in ambito musicale, creando locandine per Boiler Room o festival: l’anno scorso, per esempio, ho curato tutte le immagini del Polifonic Festival e quest’anno, appunto, quelle del Mi Ami. Vorrei lavorare con le etichette indipendenti: per ora ho fatto una copertina per l’album di Cadori per Labellascheggia e una per la compilation Libertas di Vinyl Moon. Mi condiziona anche mentre lavoro e in generale mi piace quella di non facile ascolto: set tipo Boiler Room, artisti come Andy Stott. Al momento sto ascoltando Alessandro Contini, Elena Colombi, Elisabetta Bianchini e ambient techno in generale.
Quando hai cominciato a riflettere sui temi della mitologia?
Dall’infanzia ho avuto una fascinazione per quella egizia e greca, ma ho iniziato a fare una vera ricerca mentre preparavo il lavoro finale del master a Londra. Mi sono concentrato sulle immagini archetipiche presenti nell’inconscio collettivo e alla base della cultura occidentale, cominciando dai tarocchi: gli Arcani Maggiori sono infatti archetipi che fondono mitologie appartenenti a culture diverse e che hanno dei tratti in comune. Ho continuato a lavorare sui simboli antichi che ciascuno di noi riconosce in maniera istintiva, anche se non riesce a individuarne l’esatta provenienza. Nel 2017 ho realizzato, insieme a Dilen Tigreblu, un lavoro sulla mitologia individuale e sul rituale ispirato al libro di Cesare Pavese Feria d’agosto e ospitato dalla galleria Improper Walls di Vienna. Dagli archetipi universali sono quindi passato a una riflessione centrata sull’individuo: la mia ricerca ora verte su elementi più quotidiani, legati all’infanzia. Aspetti che ci segnano senza che ce ne rendiamo conto e che rimangono parte di noi.
Nel tuo caso risultano forti i legami con il mare, in particolare il Mediterraneo. Eppure sei nato e cresciuto a Como.
Forse sono rimaste vivide in me le memorie del mare proprio perché vivo lontano. Ricordo le atmosfere, gli odori, come quello dei fiori e degli oleandri della Liguria. Ricordo che saltavo tra gli scogli in cerca di granchi. Le categorie che di solito rimangono più impresse nella memoria sono quelle legate al costruire, alla caccia, alla prima impressione del fuoco e alle prime scoperte erotiche. Si tratta di un mondo di sensazioni accennate che restano difficili da esprimere.
Continuerai a lavorare sul tema del Mediterraneo?
L’anno scorso ho fatto un viaggio in Marocco e sono stato a Istanbul, ho avuto modo di esplorare quelle coste. Riflettendo sul fatto che in Afghanistan il cielo azzurro è diventato un simbolo di terrore per colpa dei droni, ho pensato recentemente a come il Mediterraneo sia oggi un simbolo di disperazione, della morte in mare in cerca di un futuro migliore. Ora ho in mente una nuova serie, in cui vorrei sperimentare modi di disegno diversi e provare a unirli.
Intervista pubblicata su WU 87 (aprile 2018). Segui Alessandra Lanza su Instagram e Linkedin
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