APOSTOLO E LA LIBERTÀ AUTORIALE IN CASA NETFLIX
‘Apostolo’, l’incursione del regista Gareth Evans all’interno dell’horror nudo e crudo con Dan Stevens e Micheal Sheen, è disponibile su Netflix dal 12 ottobre
di Davide Colli
La nascita di un movimento all’interno del genere horror moderno che puntasse a dare voce ad autori più o meno agli esordi dietro la macchina da presa è avvenuta da qualche anno. Questi giovani hanno saputo donare nuova linfa ad una tipologia di prodotto che si credeva defunta da tempo, producendo risultati, seppur in qualche caso troppo acerbi, decisamente interessanti e la cui qualità è riconosciuta globalmente. Un recente e fortunato esempio di questa rivoluzione intestina è Scappa – Get Out, che ottenne l’anno scorso un consenso unanime da critica e pubblico, arrivando a diventare tra i film più redditizi di sempre e vincendo pure un Oscar per la miglior sceneggiatura originale di Jordan Peele. Rappresenta quindi una gran consolazione notare che Netflix abbia deciso di non stare con le mani in mano e produrre Apostolo, diretto da Gareth Evans, regista dei due The Raid.
Per il regista gallese il passaggio presso due filoni cinematografici così distanti tra loro (da due film di arti marziali indonesiane ad un horror gotico alla The Wicker Man) poteva essere spiazzante, invece Gareth Evans con Apostolo non sembra aver minimamente accusato il colpo. Dietro la macchina da presa, infatti, sembra trovarsi perfettamente a suo agio nel creare un immaginario macabro sicuramente derivativo, ma dalla potenza visiva decisamente visiva. Spesso e volentieri, il regista e montatore abbandona l’ordinario modus operandi dei suoi mestieri, dando sfogo a riprese al limite della schizofrenia, dove lo spettatore diventa succube dell’incubo da lui generato. Lo sguardo del pubblico diventa l’ignaro soggetto del perverso esperimento di Gareth Evans, il quale, con sadico divertimento, lo sottomette a numerose torture, sia dal punto di vista del materiale estremamente gore mostrato, che da quello della frequente rottura della grammatica cinematografica ordinaria.
Il crollo psicologico dell’occhio esterno corrisponde alla rovina del protagonista e dell’intero genere umano, vittima del suo stesso operato, in questo caso la volontà di escludersi dal resto della società tramite la creazione di una nuova civiltà, le cui basi si fondano su un tossico culto religioso. Un’esasperazione del Cristianesimo nella quale la devastazione della carne e della propria fisicità viene interpretata come unica via per la purificazione dai peccati terreni. Esattamente come era riuscito a rinvigorire il cinema orientale di arti marziali, l’ossessione verso la perfezione tecnica di Gareth Evans intacca anche l’horror nel caso di Apostolo, un’opera decisamente stratificata nel suo voler martoriare lo spettatore e insieme impartirgli un messaggio di validità universale, a riprova che le nuove opere d’autore risiedono principalmente all’interno del cinema di genere.
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Davide Colli
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