NOSTROMO – EHI SENTI COME SUONA BATTISTI SU SPOTIFY
Il cantautore marchigiano Nostromo ci culla con il suo indie dal gusto neo vintage, che non possiamo fare a meno di ascoltare in streaming navigando a piena vista nel mare della nostalgia
di Giada Biaggi
Il romanticismo ha diritto di cittadinanza nel mondo nell’era delle playlist preconfezionate su Spotify? Le dieci canzoni che compongono Minuetto, il disco d’esordio di Nostromo, sembrano voler formare un bel coro e sussurrarci all’orecchio: sì, amore. «E anche se non c’è una regola» come canta in Atomica, questi pezzi animati da una semplice e graziosa assertività nei confronti del bello che c’è, ci dicono che la poesia nata dall’incontro di due sguardi esiste ancora e che guardarsi dentro è difficile, ma non può che regalare storie da raccontare e, ovviamente, da ascoltare. Abbiamo fatto due chiacchiere con Nicolò, questo il suo vero nome, in occasione dello showcase milanese per la presentazione del disco nella suggestiva cornice de Labrutepoque, immersi in una luce magmatica e dopo più di qualche spritz…
Partiamo subito dalla genesi del nome, così ce la togliamo subito. Nostromo: elogio alle alte concentrazioni di mercurio in scatola o uno smaccato riferimento alla tua virilità?
Allora direi la seconda… Letteralmente “nostromo” significa il nostro uomo, dietro al significato del nome c’è però un aspetto ironico; io nella vita non sono così, non mi sento l’uomo di qualcuno, non sono l’uomo di nessuno. Anche se c’è da notare che assomiglio a quello della scatoletta (ride, NdR).
Nelle tue canzoni sembra sempre però che tu sia l’uomo di qualche donna…
Diciamo che non ho una musa, ma più muse; alcune vengono da eventi passati, altre da situazioni contingenti, altre ancora da cose che non ho mai vissuto, da quello che comunemente viene epitetato come immaginario. Le canzoni di mia madre per esempio nasce da me che una domenica mattina esco a fare la spesa e alla cassa incrocio lo sguardo di una ragazza che mi scuote; poi torno a casa, metto a posto la spesa nel frigo e le dedico una canzone. Non ho più rivisto quella ragazza, ma è stato bello, giusto e poetico che sia andata così.
Scrivi a mano o al computer?
In realtà parto prima dalla musica, poi solitamente la prima frase è un po’ improvvisata; nasce in maniera sincrona alla melodia ed è sempre mossa da una necessità espressiva abbastanza forte che mi sta attraversando in quel momento. Per quanto riguarda il supporto materico dove scrivo, devo tirare fuori il cliché banalissimo indie-analogico della Moleskine nera; sì sono uno di quelli… (ride, NdR).
La nostalgia che ruolo ha nella tua vita e nelle tue canzoni? «Quel giradischi»…
Mi definirei una persona decisamente nostalgica, mi piacciono le atmosfere retrò… mi mancano gli anni che non ho mai vissuto, come i tempi di Battisti di cui canto in Giradischi. Nel mio quotidiano mi trovo spesso a pensare più al passato che al presente o al futuro.
Come vivi il fatto che sei in un qualche modo destinato a scrivere canzoni per gli anni a venire? Dono o dolce condanna?
Come nessuna delle due cose: non la sento come un dono e non la vivo come una condanna. Per ora scriverle mi fa stare bene, sono giovane, ho 25 anni e in questo mio processo di crescita traggo delle mie piccole conclusioni e mi fa piacere condividerle con gli altro attraverso le mie canzoni; è un processo abbastanza semplice e istintivo, non mi definirei l’archetipo dell’artista maledetto, ecco.
«Tu sigarette la mattina, io luna piena e cocaina» così in Vegan descrivi la storia di due anime troppo diverse per incontrarsi davvero; pensi che il detto “gli opposti si attraggono” sia un’ingenua credenza romantica?
Penso che ci siano delle persone che comunque vadano le cose, essendosi incontrate a un certo punto della loro vita, non possano fare a meno di cercarsi, anche solo con la mente, tendenzialmente per sempre, chiedendosi sempre cosa l’altro stia facendo in un momento “x” della giornata – fino chissà ad approdare in un funambolico zapping e trovarsi «su Chi l’ha visto a Rai Tre», come canto ironicamente nel brano.
E Milano cosa rappresenta per te che sei un musicista emergente: un’isola felice o una tappa obbligata dalla quale fuggire il prima possibile?
Direi più la seconda, non è il mio habitat. Ci capito principalmente per motivi legati alla musica, ma non ci vivrei adesso.
So che, infatti, vivi a Bologna, come te la stai passando lì?
Bene, Bologna è una città colorata, come le sue case. È da quando andavo in prima superiore che pianifico di viverci. Bologna è una città militante e di sinistra proprio sul piano della socialità, quella da bar intendo; quando ci esci la sera è facilissimo conoscere una quantità smisurata di persone interessanti in una maniera così spontanea, cosa che in una città come Milano manca.
Credi che si stia formando una nuova scuola bolognese di cantautorato indipendente? Calcutta, Giorgio Poi, Cimini sono di casa… Vi frequentate?
Sicuramente Bologna è una città che vive di musica. Non frequento personalmente questi artisti, ma non per pregiudizi di sorta; semplicemente non ho cercato di entrare in questo giro in maniera intenzionale, in questo sono un romantico e confido nel caso dell’incontro.
A gennaio inizierai il tour, come stai vivendo questa attesa? E cosa dobbiamo aspettarci dalle prossime date dal vivo di Nostromo?
Banalmente, ti direi che non vedo l’ora di salire sul palco. I live saranno più colorati di questo showcase acustico che avete ascoltato adesso; si starà un po’ meno fermi e si ballerà e spero ci si divertirà.
Nostromo in tour:
26 gennaio – Carpi (MO), Mattatoio
01 febbraio – Milano, Ohibò
07 febbraio – Civitanova Marche (MC), Mind Studios
22 febbraio – Bologna, Covo
Intervista pubblicata su WU 99 (dicembre 2019 – gennaio 2020). Nella foto in alto: Nostromo
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