TINIEST OF THE SUMMERS
Ana Cuba con ‘Tiniest of the Summers’, progetto realizzato la scorsa estate, continua la sua ricerca sui punti di contatto tra il corpo umano e la natura
di Alessandra Lanza
Ana Cuba ha inaugurato la sua carriera nella fotografia a Londra come picture editor in una delle riviste più apprezzate al mondo, “Monocle”. Nel 2015, abbandonata la poltrona in ufficio, ha deciso di fare la freelance. Oggi concentra la sua ricerca personale sulla sensualità del corpo umano e della natura, che traspare in progetti realizzati durante i suoi viaggi, come questo Tiniest of the Summers, e la sua vita londinese nei giorni del lockdown.
Com’è iniziata la tua fascinazione nei confronti del corpo?
Mi è sempre piaciuto molto il corpo femminile, lo trovo bello da fotografare. Quando ho iniziato a scattare, circa 12 anni fa, ritraevo i miei amici in modo astratto e quasi romantico. Poi ho sviluppato un’estetica più sensuale e ho iniziato a lavorare con marchi di lingerie e brand come Lelo. Credo che il mio lavoro sia adatto per queste collaborazioni, perché è sensuale, senza essere “sessuale”.
Com’è nato il progetto Tiniest of the Summers realizzato nell’estate 2020?
L’estate scorsa, quando ci si è potuti spostare, io e un’amica abbiamo viaggiato nelle Asturie e in Cantabria, nel nord della Spagna, ed è stato bellissimo. La mia attenzione è caduta sulla natura e sulla nostra connessione con essa, in particolare in senso estetico. Devo fare ancora molta ricerca, ma penso che siano tutti dei punti di partenza per arrivare a quello che davvero mi interessa: rappresentare una bella natura e dei bei corpi. È un piccolo progetto, una travel series molto astratta. Ho realizzato un progetto simile alle Canarie, non è ancora sul mio sito, ma trovi le immagini su Instagram.
Come fai ricerca prima di uno shooting?
Se vai a vedere chi seguo su Instagram, non ci sono i nomi dei grandi fotografi. Seguo più che altro amici, o fotografi che stimo e che trovo interessanti, ma cerco di non guardare troppe immagini sui social o sui magazine perché penso influenzi troppo il linguaggio di ciascuno. Certo, non posso evitarlo, ma cerco di minimizzare l’esposizione. Preferisco seguire pagine vintage sul porno di una volta o che postano vecchi editoriali, non penso che in questo momento sia sano cercare ispirazione in quello che fanno gli altri a livello fotografico, altrimenti rischieremmo di fare tutti le stesse cose. Amo il cinema, quindi cerco ispirazione nei film, e nell’arte in generale.
È più difficile secondo te per un fotografo uomo non sessualizzare il corpo femminile?
Credo che sia un momento molto delicato per i fotografi uomini oggi, in particolare per quelli di nudo. Anche per le campagne di lingerie stanno chiamando soprattutto donne, perché pensano di poter evitare così il problema dei predatori. Credo che un uomo possa fotografare un corpo nudo femminile senza essere per forza un pervertito, come non lo sono io. Sicuramente per loro è più difficile in questo momento, ma hanno anche avuto il monopolio in questo tipo di fotografia per anni. Finché sono professionali non c’è problema e non credo sia giusto, per colpa di qualche mela marcia, guardare tutti con sospetto. Amo per esempio il lavoro di Francesco Nazardo, e non ho mai percepito niente di sbagliato nelle sue fotografie. A me piacerebbe molto poter fotografare più corpi nudi maschili, penso che siano bellissimi, ma devo ancora capire cosa significa per me la mascolinità e come raccontarla in modo interessante. È anche questo nella mia lista di cose da fare.
So che durante la permanenza a Londra hai sentito la mancanza della luce che c’è a Barcellona. Ora che sei tornata ti sta dando nuova ispirazione?
Bloccata qui dalla pandemia, ho realizzato solo un paio di progetti e spero di avere l’occasione di scattare di più. La luce è meravigliosa, c’è il sole tutti i giorni: adoro lavorare con quella naturale, a Londra lo faccio spesso con quella artificiale. Non sono espertissima nel gestirla, collaboro con light designer di cui mi fido per adattarla al prodotto che sto scattando. Per me è determinante quanto la modella, lo styling e lo stesso prodotto. Non cerco a tutti i costi la luce perfetta, credo siano fondamentali anche la composizione, un certo colore, un certo spirito e un pizzico di humour che ci metto. Ci sono diversi ingredienti, insomma.
L’aspetto del divertimento è fondamentale per Ana Cuba?
Non tanto dal punto di vista dello humour, ma nel senso che non amo prendermi troppo sul serio. Mi piace sorprendere le persone e cerco di mantenere sempre un approccio fresco o diverso. Molti mi chiedono cosa mi piace fotografare, io rispondo: «Qualsiasi cosa». Non mi interessa se è una persona o un fiore: credo che il mio stile, e forse è la cosa che apprezzano le agenzie, sia traducibile in molti argomenti.
C’è più spazio oggi per le fotografe femminili, rispetto a quando hai iniziato?
Qualche anno fa c’è stato un grande movimento per l’empowerment femminile portato a sua volta avanti da attiviste e femministe. Mi sembra questo settore sia oggi più aperto alle donne, ma io stessa ammetto di essere stata particolarmente fortunata e ho la sensazione che le grandi campagne, quelle con i budget più consistenti, vengano affidate ancora agli uomini, mentre alle donne sono riservate quelle più piccole, con un po’ di ipocrisia che mi infastidisce, perché credo potremmo fare un lavoro altrettanto buono. La parità è ancora molto lontana.
Come vedi il tuo 2021 da freelance?
Il 2021 mi sta mettendo molto più alla prova del 2020, tra la Brexit e quello che sta accadendo non sono nella situazione migliore. Come una bella sfida. Eravamo tutti abituati a viaggiare, potevamo volare ovunque, anche se in un modo poco etico: il settore è stato chiamato a una maggior consapevolezza nei confronti dell’ambiente. Prima o poi tornerà tutto come prima, ma almeno per il momento i brand sono incentivati a collaborare con i fotografi locali. Dal mio punto di vista fare avanti e indietro tra Londra e Barcellona sarà logisticamente molto difficile. E a livello pratico, per me che porto gli occhiali scattare con la mascherina è difficilissimo!
Qual è il primo posto in cui viaggerai appena ne avrai la possibilità?
Ho un’ossessione per il Giappone, è nella mia top list e spero di tornarci al più presto, è un posto dove si può viaggiare da sole in sicurezza, ma per il Covid sarà durissima tornarci così presto. Quest’estate, se sarò fortunata, vorrei andare alle Baleari, Maiorca o Minorca.
Su cosa ti piacerebbe lavorare prossimamente?
Nell’ultimo anno e mezzo ho iniziato a orientarmi nel lavorare con la natura, con i fiori e, insieme, con i corpi e vorrei fare un progetto che comprenda anche la sensualità e la femminilità. È come se fosse sempre nella mia testa e penso che forse, in una decina d’anni, tra scatti, editing e tutto il resto potrei avere il materiale che mi serve. Pian piano mi sto dedicando a progetti personali, ma mi sento ancora una fotografa commerciale, non un’artista. Non punto a una grande mostra o a un libro, mi piace l’idea di godermi la vita facendo quello che amo. E amo il mio lavoro.
Intervista pubblicata su WU 106 (febbraio – marzo 2021). Segui Alessandra su IG
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