MEDITERRANEAN SPIRIT
I distillati a base di anice sono una costante dei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Alcune delle storie legate alla loro nascita si perdono nei secoli passati, ma anche quelle più recenti contribuiscono alla “mitologia” legata a questi prodotti
di Gian Mario Bachetti
Tra le immagini dell’infanzia che non sai se sono ricordi, elaborazioni di foto o ricostruzioni nate dai racconti dei genitori, custodisco un Ferragosto nella casa di montagna dei nonni, quando mio padre e un suo amico distillarono il mistrà, liquore all’anice tipico delle Marche e del Centro Italia.
Nulla di strano in realtà, perché la produzione di mistrà home made è una tradizione molto diffusa tra i Sibillini, tanto che in provincia di Ascoli Piceno, Fermo o Macerata è facile trovarne una bottiglia sul tavolo a fine pasto. In parallelo viaggia ovviamente una produzione professionale: il più famoso è forse quello Varnelli, l’anice secco speciale, commercializzato dall’inizio del Novecento grazie all’intuizione di Antonio Varnelli, che aveva preso le redini dell’omonima azienda fondata dal padre, un erborista, nel 1868.
La storia del mistrà però non è (solo) marchigiana – o laziale, vista l’altra famosa etichetta, “Pallini” – ma ha origine nella Repubblica di Venezia. Nel 1687 i veneziani conquistano la città greca di Myzithras-Mistras, vicino a Sparta, e da qui importano un liquore simile all’ouzo greco (anch’esso a base di anice) che in laguna prende il nome con cui ancora oggi lo ordiniamo, riprendendo quello del centro d’origine. Il consumo nella Serenissima finisce per sparire a poco a poco con le conquiste austriache e spagnole e, come detto, risorge quasi due secoli dopo nelle Marche forse grazie anche ai legami che c’erano tra il porto di Ancona e quello di Venezia.
Per altri l’origine è ancora più antica. Il “food explorer” Fabio Busetto ha di recente trovato nella fortezza veneziana di Porto San Giorgio (sempre nelle Marche) un documento del doge Lorenzo Tiepolo, ai tempi podestà di Fermo, che data il liquore al XIII secolo: una ricetta ispirata all’ouzo greco, fatta con il vino avanzato di navi e osterie. Ci sono secoli di differenza, ma il legame con l’Oriente sembra essere la rotta giusta per scoprire l’origine di questa bevanda. Se infatti dovessimo scegliere un alcolico che unisce i popoli del Mediterraneo, i liquori all’anice sarebbero i favoriti: ouzo in Grecia, uzo in Albania, raki in Turchia, arak tra Libano, Iraq, Siria, Giordania, pastis e pernot in Francia, l’Anís del Mono in Spagna, il già citato mistrà, nella rappresentativa italiana insieme alle più dolci cugine sambuca e anisetta e ai meno conosciuti Tutone, Sassolino e Gocce Imperiali.
Ricostruire una linea storica della diffusione di queste bevande è pressoché impossibile sia perché, come il mistrà, si distillano spesso in casa, sia perché anche le stesse tipologie di alcolico hanno preparazioni differenti. È però visibile un’origine comune che acquista sfumature diverse in base ai confini nazionali. Dell’arak, per esempio, diamo per assodata la gradazione alcolica che va dai 30 ai 60 gradi, il fatto che si ottiene grazie a una doppia distillazione di uva (prima) e di anice (poi), che, secondo la tradizione, si fa invecchiare in giare di argilla e che si consuma anche allungato con l’acqua, come il pastis francese, tanto che dal colore biancastro che il liquido assume deriva il soprannome “latte di leone”. Solo in Libano però ci sono circa 25 produttori, ognuno con la sua idea di gusto e con una propria ricetta.
A proposito di Francia, il Pernod è a torto considerato un pastis: si produce per distillazione (il pastis per macerazione) e gli ingredienti sono differenti. La loro storia tuttavia si intreccia in uno degli infiniti spin off della mitologia delle bevande all’anice. Paul Ricard è il figlio di un commerciante di vini. Nel 1932 commercializza una bevanda a base di anice stellato, acqua, liquirizia ed erbe aromatiche che cerca di assomigliare il più possibile all’assenzio, messo fuori legge nel 1915 e, fino a quel momento, re indiscusso degli alcolici francesi. Lo chiama pastis, che deriva dal provenzale “patisson”, “pasticcio”, proprio perché in quegli anni non sono in pochi a contrasta- re la norma anti-assenzio con nuovi miscugli alcolici.
Ricard però ha un’intuizione: fa scrivere sull’etichetta “Il vero pastis di Marsiglia” legandolo indissolubilmente all’immaginario della città. Tra gli anni Trenta e Quaranta, anche Pernod, il più importante produt- tore di assenzio, sviluppa un liquore simile al pastis e lo chiama solo Pernod. Questa però non è una guerra in stile Pepsi vs Coca-Cola: i due brand negli anni Settanta si uniscono sotto il nome di Pernod-Ricard per affrontare al meglio il mercato internazionale.
Come quelle storie che nonostante appartengano a mitologie differenti, hanno trame, meccanismi narrativi e morali comuni, i liquori all’anice bagnano da secoli i bicchieri dei popoli del Mediterraneo, costruendo, ognuno con le caratteristiche più adatte alle gole che devono allietare, confini inediti e rotte alternative a quelle che abbiamo studiato sulle cartine geografiche.
Articolo pubblicato su WU 121 (settembre 2023)
Nella foto in alto: un brindisi con i raki, foto di Hedda Gabler da Wikipedia
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